Jazz Agenda

Live Report: La reunion degli Area alla Casa del Jazz

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01/22 
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Una fresca giornata estiva con un cielo stellato che avvolge il palcoscenico della Casa del Jazz. E’ questa la cornice in cui hanno suonato gli Area, storico gruppo degli anni 70’, che abbiamo avuto il privilegio di ascoltare proprio ieri nel parco all’aperto di questa splendida struttura. Ad aprire il concerto, ci ha pensato il Luigi Cinque Opera Quartet. E appena il Sole è tramontato, dopo una breve presentazione del gruppo, la parola è passata subito alla musica. Questa formazione, dalle forti tinte sperimentali, è composta da Alexander Balanescu al violino, Salvatore Bonafede al pianoforte,Luigi Cinque ai clarinetti ed elettronica e Patrizio Fariselli (membro degli Area) al pianoforte e tastiere. E cominciamo col dire che la musica di questo quartetto è qualcosa che esce fuori da qualsiasi identificazione o etichetta. La partenza viene affidata ad un tappeto di note dissonanti che generano uno stato di tensione, o se preferite una specie di disordine primordiale con una logica ben precisa. Una musica lasciata in sospeso, che nella seconda track si trasforma in qualcosa di più concreto, in una melodia più nitida ed orecchiabile, che con un po’ di fantasia ci trasporta, perché no, nei paesi balcanici al centro di una piazza in festa. Il concerto prosegue e poi, quasi a spiazzarti, trova la sua conclusione in “Tangeri Cafè”, brano che comincia con una base dance e che si conclude sotto le note di una inaspettata cornamusa. E dopo questa breve parentesi arriva il momento tanto atteso. Senza che nessuno se ne accorga, dopo un breve periodo di pausa dovuto al cambio di palco, Paolo Tofani si siede sul palco a gambe incrociate con uno strano strumento in mano.

Ora, se avete presente almeno un po’ come si presentava un po’ di anni fa, forse penserete che di acqua sotto i ponti ne è passata davvero tanta. E infatti, lasciati gli Area nel 1977, Tofani intraprese, un cammino spirituale che lo portò a diventare monaco, cosa che non gli impedì di continuare a sperimentare con l’elettronica, con strumenti tradizionali e con la fusione fra essi. E dopo quasi 35 anni dalla sua ultima apparizione con gli Area eccolo qui, con un look (passateci il termine) molto diverso, ma con la stessa voglia di suonare e con la stessa ironia di sempre. Lo strumento che ha in mano, costruito apposta a Cremona in una forma elettrificata, si chiama “Trikanta Veena a tre voci” e proviene dalla tradizione indiana. E che ci crediate o no con l’ausilio dell’elettronica fa delle cose davvero incredibili. Dunque, questo musicista geniale, serafico nel suo modo di stare sul palcoscenico e perfettamente a suo agio davanti al pubblico, comincia ad improvvisare su melodie orientaleggianti che ci trasportano in luoghi dal sapore mistico ed esotico. E mentre esplora universi paralleli per noi incontaminati, utilizzando al meglio tutte le potenzialità del suo strumento, il volume in uscita comincia a gracchiare un po’. Lui, immerso nella sua calma, non si perde d’animo e ci scherza su: “Forse agli angeli non piace la mia musica” commenta rivolgendosi al pubblico presente e in pochi minuti tutto torna alla normalità. A questo punto subentra la parte elettronica e si cambia registro.

Le melodie cantate dalla Trikanta Veena, strumento che ci ha davvero sorpreso, si mescolano con i suoni sintetizzati e ne fuoriesce una musica che sembra provenire da un altro pianeta. La tradizione si fonde con la sperimentazione, con il futuro, con delle sonorità che, giusto per darvi un’idea, potrebbero essere uscite da un film come 2001 Odissea nello Spazio. E a questo punto il momento tanto atteso è arrivato. Tofani, che durante il concerto non si è mai alzato in piedi, presenta Ares Tavolazzi al basso, Patrizio Fariselli al pianoforte e tastiere e il batterista Walter Paoli, questa sera ospite dei tre membri degli Area. E con l’entrata di tutti i componenti di questa formazione, la reunion vera e propria comincia con un groove incalzante e con tutta la potenza che da sempre li ha contraddistinti. Dopo un’introduzione della band, Fariselli presenta al pubblico il brano “Sedimentazioni” che non è altro che una sintesi di tutti i brani più rappresentativi del gruppo. L’unico problema è che tutte le composizioni vengono riproposte tutte insieme in una sorta di Big Bang apocalittico e sorprendente. Quindi, dopo un momento lasciato all’ironia, comincia il concerto vero e proprio, fatto di nuove composizioni, tratte dai singoli progetti di ognuno, e dai pezzi più classici del repertorio della band. Ad arricchire la performance ci pensa anche Maria Pia de Vito che sale sul palcoscenico per unirsi al quartetto. Il secondo brano a cui prende parte, secondo quanto ha detto Fariselli sul momento: “Racconta la storia una cometa”. Ora, queste parole, dette in una calda notte ricoperta di stelle, ci hanno fatto pensare, chissà poi perché, a tre re che seguono la loro pista tracciata nel cielo. E il brano, in cui si distingue il suono nitido del sintetizzatore, si risolve in una melodia arabeggiante che ci fa pensare a qualcosa di sacro ed ancestrale. La voce potente di Maria Pia de Vito disegna geometrie perfette e quando la musica diventa più minimale esce fuori con tutta la sua potenza.

C’è anche lo spazio per conoscere qualcosa di nuovo. Il brano successivo, infatti, si intitola “Epitaffio di Seikilos” e si tratta di un omaggio, o se preferite una reinterpretazione, del più antico esempio sopravvissuto di composizione musicale, ritrovato su una lapide in Turchia. Fariselli spiega al pubblico che questa melodia, la più antica a noi pervenuta, è stata dedicata da Seikilos alla moglie defunta. E lui la reinterpreta con leggerezza regalandoci un attimo di intimità e rilassatezza. La fase successiva del concerto è dedicata ai brani del repertorio più conosciuto e non mancano brani come l’Elefante Bianco e in ultimo Gioia e Rivoluzione, che riscalda un pubblico più che mai in estasi. E poi loro sono sempre gli stessi, sembra che il tempo, anche se c’è qualche capello bianco in più, non sia mai passato e l’energia sprigionata dalle loro note è sempre coinvolgente. Per noi, che non abbiamo vissuto quell’epoca, è una fortuna poter vedere una formazione così eclettica capace di mescolare generi, stili e tendenze. Ascoltare dal vivo un brano come Gioia e Rivoluzione non ha potuto che farci sentire dei privilegiati proprio perché ci ha fatto intravedere lo spirito di un’epoca passata, che ha segnato in maniera indelebile le rotte musicali delle generazioni future. E forse era proprio vero che a quell’epoca: “Combattere una battaglia con il suono delle dita” era una cosa possibile.

Carlo Cammarella

Foto di Valentino Lulli

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Laura Lala – Sade Mangiaracina: Pure Songs – una recensione

Il Fender Rodhes di Salvatore Bonafede che ammorbidisce e pettina l’orecchio già dal primo pezzo “In The Night” segna l’ingresso nel patois sonoro languido e sostenuto di “Pure Songs” diLaura Lala eSade Mangiaracinaper l’etichetta indipendente Saint Louis. Disco sorto dalla collaborazione simposiale di due donne, unite ad intenti e tocchi diversi: da quello di Diego Tarantino al basso e contrabbasso, a quello di Claudio Mastraccialla batteria, in comunione con due splendidi sax, il tenore di Piero delle Monache e il soprano diMarco Spedaliere. La “Musica è filosoficamente inconoscibile” sostiene Salvatore Bonafede. E’ vero, filosoficamente si ragiona, ma la Musicalità di questo disco è tutta chiusa nella freschezza e nella spontaneità dei pezzi. Ascoltarlo vuol dire abbandonarsi ad un jazz che si macchia di soul e di cultura popolare siciliana. Un disco ”meticcio” e gustoso.

Laura Lala alla voce è brillante. In “Make us one” la voce fronteggia il registro del sax in maniera sublime. Sade Mangiaracina scorre sul piano con leggerezza e sostegno, ricorda il tocco di Rachel Ferrell, passando incide. Un lavoro che profuma molto di intuizioni femminili. La batteria di Mastracci, che non valica mai il limite dell’equilibrio armonico, lieve e rigorosa sa amalgamarsi alla melodia della voce e sa lasciarle spazio. Diego Tarantino al basso in “The Right Key” sa stargli dietro in un dialogo serrato. I sax di Marco Spedaliere e Piero delle Monache, fraseggiano declinando un registro tipico dei delicati standard imbossanovati alla Getz e dei corposi slanci alla Mulligan. Delle Monache è tondo e corposo.

Interessante l’incontro di tradizione musicale popolare siciliana, jazz classico e tecnica scat che, tra l’altro, richiede una capacità d’improvvisazione non indifferente. Due donne, due bambine (ci permettiamo di apostrofarle per la purezza delle loro intenzioni) da ascoltare nella prospettiva di una passione per la Musica, coltivate con senno e con un “senso” ritmico particolare. Queste ragazze hanno Stile, i loro pezzi sono concepiti nel segno dell’originalità e dell’introspezione: storie d’amore, storie di vita, storie che sanno di mare e di maliconica luna. Consigliamo l’acquisto di questo disco, che si mantiene nella convenzione del genere e si fregia di tocchi virtuosistici senza esagerazioni. Una composizione musicale da “degustare” in un sorso e da assaporare nel ritmo e nelle pause del suo tempo. Siamo curiosi di seguirle in un live per rivisitare il calore che sprigiona dalla voce di Laura in pezzi come “S’iddu moru” con testo ricomposto e tratto da Cavalleria Rusticana di Mascagni. Alla Sicilia e alla Musica dedichiamo questa recensione e lasciamo il passo alle note di Pure Songs e alla sua intrinseca saudade.

Veronica Paniccia

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