Jazz Agenda

Roma Jazz Festival News: Dee Dee Bidgewater in concerto

Dee Dee Bidgewater, che domani 17 novembre sarà di scena all’Auditorium nell’ambito del Roma Jazz Festival, è considerata una delle poche eredi delle grandi voci femminili del jazz. Nei primi anni ‘60 canta con l’Orchestra di Thad Jones e Mel Lewis, collaborando contemporaneamente con artisti del calibro di Dexter Gordon, Dizzy Gillespie, Max Roach e Sonny Rollins. Nello stesso periodo fa un’importante esperienza cantando nel musical The Wiz, per il quale vince un Tony Award come miglior attrice protagonista in un musical. In Italia la notorietà presso il grande pubblico arriva con la partecipazione a due edizioni del Festival di Sanremo, quella del 1990 vinta assieme ai Pooh e quella del 1991. Il progetto che presenta al Roma Jazz Festival vuol essere un omaggio a Billy Holiday, “Lady Day” appunto. Dee Dee Bridgewater è abituata alle sfide impegnative: anni fa si è cimentata con il repertorio di Ella Fitzgerald e questa volta va a ripescare il mito di Billie Holiday eseguendo brani contenuti nell’album “To Billie With Love: A Celebration of Lady Day”.

17 novembre Sala Sinopoli

Inizio concerto ore 21

Biglietto: platea 30 euro, galleria 25 euro

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Live report – Roma Jazz Festival: Roberto Gatto ci racconta il prog inglese

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Questo progetto fa parte di uno dei sogni nel cassetto che coltivo da diversi anni. Personalmente ho sempre amato le sfide e come sempre, mosso dall’entusiasmo, ho accettato di tentare anche questa”. E dal 2008, anno in cui ha visto la luce il progetto Progressivamente in un album registrato dal vivo alla Casa del Jazz, sono state diverse le occasioni in cui Roberto Gatto ha dimostrato di aver vinto totalmente questa sfida. Accompagnato da musicisti del calibro di Fabrizio Bosso alla tromba, Luca Mannutza alle tastiere e piano, John De Leo (ex voce dei Quintorigo), Roberto Rossi al trombone, Francesco Puglisi al basso, Maurizio Giammarco al sax e Roberto Cecchetto alla chitarra, venerdì 11 novembre Gatto ha regalato al pubblico dell’Auditorium il suo omaggio al rock progressive, nelle rivisitazioni di brani tratti dai dischi dei King Crimson, Genesis, Matching Mole, Robert Wyatt e Pink Floyd (oltre ad un brano originale di John De Leo). “Ho voluto coinvolgere musicisti che come me avessero vissuto quel momento musicale in quegli anni, ma anche musicisti più giovani, che magari avessero un punto di vista e una chiave di lettura differenti”. La sala Petrassi è gremita, ed il pubblico decisamente vario!
 
I musicisti salgono sul palco inizialmente senza John De Leo, che solo dopo i primi due brani spunta -letteralmente- da dietro la batteria ad intessere un gioco di suoni con la sua voce; una serie di “vocalizzi” che si incalzano, creando una buffa parentesi che non tradisce le capacità e la bravura di questo artista. De Leo gioca altrettanto col microfono, complementare e necessario nel far cogliere le molteplici sfaccettature sonore che lo stesso riesce a darsi. Differentemente Bosso usa il microfono per distorcere il suono della sua tromba, inscenando un botta e risposta di identici accordi che risultano come due voci diverse. Quello dei tre fiati poi, è uno spettacolo non solo sonoro, ma anche visivo; simili e sincronizzati i loro gesti danno la percezione che la musica -in quel momento- li abbia davvero uniti in un’unica melodia. Roberto Gatto ci spiega la scelta dei brani, ce ne racconta la genesi, cadenzando così l’ora e mezza trascorsa assieme. Si emoziona parlando di un’amica musicista scomparsa poche ore prima del concerto; aprendo uno squarcio (purtroppo) malinconico di vita personale. Anche in questo modo la musica ci parla, riesce a strappare un’emozione diversa ad ognuno di noi, a non rendersi fine all’ascolto e basta. L’inquietante romanticismo di Sea Song (potete immaginare quanto l’abbia reso tale la camaleontica voce di John De Leo), la poesia (arte a cui, del resto, si ispira) di Watcher of the Skies, o la chiusura con la splendida Trilogy (la cui prima parte è stata lasciata esclusivamente a Luca Mannutza e Maurizio Giammarco), sono solo una parte del racconto di una storia -quella del prog inglese- che gli abili narratori ci hanno restituito in musica.
Serena Marincolo
foto di Valentino Lulli
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Roma Jazz Festival News: Danilo Rea e Flavio Boltro in “Opera”

Danilo Rea, la cui vera passione è sempre stata “il poter improvvisare dall’inizio alla fine”, sembra aver realizzato il proprio desiderio con il suo primo album in solo, Lost in Europe, che avremo la possibilità di ascoltare martedì 15 novembre all’Auditorium presso la Sala Sinopoli. Il disco, registrato interamente dal vivo, è nato durante un tour di nove concerti tenuti dal pianista nei principali festival d’Europa. In solo, Danilo Rea mette ben in luce la sua capacità, che era già stata delineata nei progetti di Doctor 3, di fusion tra jazz e “pop”, intrecciando in totale, ispirata libertà, le emozioni delle melodie note e meno note della musica “leggera”. Con il progetto “Opera”, Rea improvvisa sui più noti temi di arie liriche tra cui Mascagni, Puccini, Verdi, Bizet. Flavio Boltro fa parte della scena jazzistica internazionale da più di 15 anni. Diplomato al conservatorio di Torino, si è esibito accanto a musicisti di grande levatura come Cedar Walton, Bob Berg, Don Cherry, Billy Hart e Billy Higgins. A partire dal 1990 ha participato a numerosi festival e tournée in veste di sideman di Freddie Hubbard e Jimmy Cobb, prima di diventare un componente del gruppo di Laurent Cugny e di suonare con Aldo Romano. Dopo aver fatto parte stabilmente per quattro anni dell’Orchestre National de Jazz, e in seguito del sestetto di Michel Petrucciani, è stato componente del gruppo Di Battista-Boltro Quintet.

15 novembre Sala Sinopoli 

Inizio concerto ore 21:00

Biglietto: posto unico 15 euro

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Federica Zammarchi racconta Jazz Oddity

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Jazz Oddity, ultimo progetto da studio della vocalist Federica Zammarchi, è un disco che ci ha incuriosito fin da subito, anche prima di ascoltarlo. E’ un lavoro originale in cui la cantante senese ha ripreso uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, David Bowie, e ha riproposto alcuni dei suoi brani più famosi riadattandoli in chiave Jazz. Il risultato è stato, secondo noi, molto convincente, e per questo abbiamo deciso di approfondire l’argomento con Federica, che ha risposto volentieri alle nostre domande.

Federica, per cominciare volevamo chiederti come nasce questa esigenza di confrontarsi con un musicista così importante come David Bowie?

“Beh, non lo definirei un confronto, piuttosto un omaggio, un ringraziamento ad un artista che mi ha “tenuto compagnia” ed ispirata da sempre. Bowie è un genio, trasversale, che ha reinventato in continuazione il suo modo di fare musica, di comunicare con il pubblico. Il motivo per cui ho deciso di riadattare alcuni suoi brani a nuove sonorità non è altro che una grande dimostrazione di affetto e di ammirazione verso il suo lavoro.”

Quindi, perché hai deciso di arrangiare questi brani in chiave jazz?

“Questo dipende dal mio mondo musicale, ho sempre ascoltato rock e pop prima di intraprendere la strada del jazz, che è quella che in qualche modo ancora seguo. Ho voluto portare un repertorio “diverso” all’interno di un genere che ha sempre attinto dalla musica di ascolto di tutti i periodo storici. Oltretutto di certo non mi considero una “jazzista” pura, amo la contaminazione, quello che faccio nasce semplicemente da come io mi approccio alla musica, di qualunque genere. Non so nemmeno se si possa parlare di chiave jazz, i puristi probabilmente non sono d’accordo, è una chiave “nostra”, che dipende soprattutto dalle personalità dei musicisti coinvolti nel progetto.”

Ascoltando questo disco abbiamo potuto vedere come hai riarrangiato alcuni dei più grandi successi di David Bowie in maniera molto originale e senza stravolgerne il senso. Quale è stato il tuo approccio verso questi brani?

“Esattamente quello hai detto tu: ho cercato di metterci del mio, anche stravolgendo armonia e ritmo a volte, tenendo però sempre ben a mente l’originale e lasciando la melodia perfettamente riconoscibile. Ho mantenuto nei limiti del possibile la “forma-canzone” dei brani, che forse è l’aspetto che maggiormente differenzia il mondo del rock/pop dal jazz, dando sempre grande importanza al testo, per lasciare gli spazi improvvisativi il più possibile aperti ed inseriti in un contesto emotivo. Il resto dipende esclusivamente dalla grande coesione ed intesa della band…”

E come avete lavorato per adattarli a delle sonorità così particolari?

“Sicuramente quando ho iniziato a scrivere per questo progetto avevo in testa un certo tipo di suono, di mood, che ho esposto al gruppo durante le prove. Poi suonando sono uscite delle cose nuove, a volte diverse, convincenti, che hanno iniziato a caratterizzare il nostro sound portandolo in una direzione estremamente riconoscibile. Sono stata molto fortunata ad avere un gruppo di musicisti non soltanto bravissimi ma estremamente partecipi, che hanno lavorato con me fin dall’inizio proprio per fare in modo che queste sonorità caratterizzassero il nostro lavoro.”

Quindi, secondo te, il Jazz può essere in generale un filo conduttore per mescolare stili e sonorità così diverse?

“Non so…non amo particolarmente parlare di “jazz”, piuttosto di “musica” in senso lato. Io credo fortemente che quello che chiamiamo jazz sia una forma di approccio al repertorio, un “modo” di eseguire qualsiasi brano, ma è una mia personalissima opinione. In questo senso sì, certamente il jazz può essere un fenomenale filo conduttore. Ma forse è più giusto parlare di incontro musicale tra cinque personalità molto diverse, provenienti da esperienze varie, ma estremamente capaci di interplay e che mettono costantemente la loro musica al servizio del brano. Come etichettarlo non lo so, probabilmente non è poi così importante…”

E per quanto riguarda i progetti futuri, c’è qualcosa di nuovo a cui stai lavorando?

“Sto lavorando su tantissime cose: un disco in duo con Enrico Zanisi, un progetto sui brani di Shorter con Emanuele Smimmo, una follia su repertorio di varia natura (anche originali) col vibrafonista Andrea Biondi e sto scrivendo pezzi nuovi. Sicuramente inizieremo presto a lavorare ad un “Jazz Oddity vol. II”, dato il successo del primo e la forte volontà di tutto il gruppo di continuare a collaborare, che probabilmente presenterà numerose sorprese (come aggiunte all’organico). Abbiamo anche in mente di eseguire alcuni live con strumenti sinfonici (archi ecc). Intenzioni impegnative, vedremo cosa succede!”

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