Jazz Agenda

Scott Colley – Empire – una recensione

Scott Colley non ha di certo bisogno di presentazioni. Navigato contrabbassista dall’esperienza pluridecennale ha collaborato come side man con artisti del calibro Herbie Hancock, Jim Hall, Andrew Hill, Michael Brecker, Chris Potter e Pat Metheny. Un curriculum d’eccezione che lo fa figurare sicuramente fra i grandi nomi del jazz americano ed internazionale e che lo vede partecipare a più di 100 registrazioni in altrettanti progetti. Il suo ultimo lavoro da leader, pubblicato da Cam Jazznel 2010, si intitola Empire e vi partecipano musicisti comeRalph Alessi (tromba), Brian Blade (batteria), Bill Frisell (chitarra elettrica) e Craig Taborn(Piano). Un lavoro pregevole in cui la commistione dei singoli elementi genera un piacevole stato di tensione capace di ipnotizzare l’ascoltatore.

Quindi, senza troppi giochi di parole, la prima cosa che possiamo dire dopo aver ascoltato questo CD è che Scott Colley la voglia di sperimentare ce l’ha davvero nel sangue. E non lo diciamo soltanto perché questa è la costante invariabile di questo lavoro, ma soprattutto perché il risultato è qualcosa di veramente sorprendente e di unico. L’insieme armonico che accompagna melodie semplici ed orecchiabili dà, infatti, quella marcia in più ad un disco che senza quell’alchimia di gruppo non sarebbe sicuramente lo stesso. E sono proprio le dissonanze, gli accordi lasciati in sospeso, una punta impercettibile di psichedelia a rendere questo lavoro unico e accattivante. E di conseguenza non è soltanto l’estro dei singoli ad uscire fuori, ma il lavoro d’insieme che, unito ad uno spiccato utilizzo di dissonanze, aggiunge quell’alchimia necessaria alla riuscita di un lavoro che potremmo facilmente paragonare, tanto per fare un esempio, ad un quadro futuristico d’avanguardia.

Il Cd si apre con “January”, un brano anch’esso dalle sonorità dissonanti che comincia in modo quasi sospeso e che prosegue con una melodia sempre più nitida. Ma l’anima sperimentale di Colley è visibile in quasi tutti i brani di Empire a partire proprio dal secondo: “The Gettin Place” dove, insieme alle dissonanze, spicca une perfetta pulizia del suono che, unita a cambi di tempo e di stile, fa davvero la differenza. C’è lo spazio anche per melodie più dolci e per così dire, più nitide, come “For Sophia”, terza track, e “5:30 A.M”, brano che ci ricorda quella confusione tipica delle ore mattutine, quando tutti fanno fatica a carburare. Insomma, quello che ci teniamo a sottolineare è che Scott Colley ha sicuramente costruito Empire con un filo conduttore ben preciso e distinguibile. Quindi, vi consigliamo vivamente di ascoltare questo CD con un buon impianto che sicuramente vi darà modo di distinguere i colori e le sfaccettature che lo compongono.

Carlo Cammarella

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Live Report: Wayne Shorter 4tet al Bari in Jazz 2011

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1/6 
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13 ottobre 2011. A coda della settima edizione del Bari in Jazz arriva a euforizzare il parco urbano dello Showville di Bari Wayne Shorter e il suo quartetto, completato da Danilo Perez al pianoforte, John Patitucci al contrabbasso e Brian Blade alla batteria. L’attesa è pazzesca e si mastica. Tutto esaurito, e il solito povero rinunciatario dell’ultimo minuto. È un pubblico di devoti, stasera, e lo Showville diventa una cattedrale. Introito. Gesti di rito e Perez comincia a distillare, limpido, le prime note. Si affeziona a un modulo cromatico. Patitucci s’innesta lungo, scandagliando guardingo il fondo del suo contrabbasso. Spettrale Blade, quasi prepara l’agguato. Il suono di Shorter arriva, ruvido. Essenziale, snocciola poche note. Chi non conosce l’uomo potrebbe sentirsi preso in giro. Ma c’è poco da sospettare, c’è qualcosa nell’aria che ti lascia intendere che si fa sul serio. Il silenzio è religioso. È una messa. Il trio si dà da fare, sembra quasi tenti il tutto per tutto per catturare l’attenzione e ottenere l’approvazione del maestro. Lui, il Sax, centellina ogni nota, si pronuncia paziente, calmo e lascia spazio al dialogo piano-contrabbasso. Blade riempie, discreto. Un amalgama di timbri e appunti di note che vagano inquieti, apparentemente fuori ordine. Sbanda e pare cerchi nuovi appigli. Resta sulla seconda linea Shorter, come un sideman di lusso, parsimonioso. Partecipa sornione alla trama confezionata ad arte da Perez e Patitucci.

Blade carica all’improvviso, deflagra quando non te l’aspetti e polverizza. Fraseggi piegati verso il basso. Parte l’unisono del contrabbasso col piano. Le ottave di Perez al registro grave segnano un percorso cadenzato e l’intenzione di un’apertura che raggiunge l’acme e precipita. Cambia veloce, camaleontico. Shorter fischietta e accompagna la fine. Evapora e passa al contralto. Il pubblico è fermo, paralizzato. Sarà la soggezione, una forma di timor reverentialis o forse l’ansia di cannare l’applauso, di dare l’idea di non aver capito quello che il maestro ha da raccontare, stasera. Atto penitenziale. Frammentato, va per intervalli ampi che danno prospettiva a un profilo frastagliato che non trova incastro. Vaga e si rompe. Blade va giù di netto. È un crash che scuote, sveglia e spacca. Un’energia pazzesca che viene fuori all’improvviso da quell’angolo buio (nel senso di assenza di luce!) della sezione ritmica. I suoi sonagli colorano di folklore l’immaginario shorteriano. Lanciatissimo nelle dinamiche, carica, galvanizzato.

Shorter lo affianca e ne incoraggia l’implosione. Raggiunge l’acme, si incaglia in un frammento strillatissimo che cerca consenso prima di atterrare. Gloria. Evocativo il contrabbasso di Patittucci. Il Sax gorgheggia in seconda linea. È una percezione sempre più forte. È un magma che si muove senza direzione. Quando arriva il chorus (che mette anche un certo disagio chiamarlo così) hai la sensazione di essere arrivato a meta, ma è un’illusione che dura poco. Basta un attimo, e l’hai persa. Ogni idea che Shorter lancia è seguita, articolata e massimizzata dal trio. Una liturgia di umori e tinte forti che montano e perdono consistenza quando meno te l’aspetti. Omelia. Divertente il gioco. Perez si trastulla con una bottiglia di plastica, ne disturba la forma, la sfrega contro la cordiera. Blade lo svela. Shorter fischietta e quando riattacca allo strumento smonta di netto tutta la diffidenza dell’inizio. Dopo aver fatto divertire i ragazzi, il maestro interviene e lascia una di quelle lezioni che non dimentichi facilmente. Severo e ironico. Va via, e ti resta in bocca il sapore di qualcosa di bello, che forse è durato troppo poco. E anche tu che non lo conoscevi, ti accorgi che t’ha convinto. Professione di fede. Si reclamano i bis, quelli che ci speri e che comunque non ti aspetti. Shorter rientra, a passo felpato, e ti regala uno spettacolo unico. Sprigiona un’energia rilassata e abbagliante, da star, che resta e fa la differenza. È l’uomo del secondo tempo. Lui, la punta di diamante. Il celebrante.

Eliana Augusti

foto di Federica Giura

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Brian Blade and the Fellowship Band in concerto alla Casa del Jazz

Mercoledì 25 luglio, appuntamento alla Casa del Jazz di Roma con il grandissimo batterista, Brian Blade che, dopo aver affiancato il suo nome a quello di Brad Mehldau, Joshua Redman e a cantanti come Bob Dylan, Joni Mitchell e Marianne Faithful e soprattutto Wayne Shorter, presenta a Roma laThe Fellowship Band, una formazione che travalica i confini del jazz, prendendo spunto dalla tradizione folkloristica di altri paesi, per creare un suono unico. Conosciuto dal grande pubblico per la sua carriera da sideman di lusso, Brian Blade arriva in Italia con la The Fellowship band, sicuramente una delle più apprezzate e longeve del periodo contemporaneo. La forza dell’insieme caratterizza questa formazione, nata a nome del batterista e diventata dopo alcuni anni un organico condiviso, senza leader. Un’attenzione per la melodia e la cantabilità si sublima attraverso momenti di improvvisazione totale. Dinamiche e colori impreziosiscono i temi, così equilibrati da poter essere vere e proprie canzoni. Sicuramente uno dei migliori concerti di questo strepitoso Festival che si sta svolgendo alla casa del Jazz.

 

Casa del Jazz: viale di Porta Ardeatina, 55

Info: 06/704731

www.casajazz.it

ingresso 15 euro

 

CASA del JAZZ FESTIVAL 2012”

Parco della Casa del Jazz

Mercoledì 25 luglio ore 21

BRIAN BLADE & The Fellowship Band

 

Brian Blade, batteria

Myron Walden, sax alto

Melvin Butler, sax tenore

Jon Cowherd, pianoforte

Chris Thomas, contrabbasso

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