JAZZ AGENDA

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Grace in Town: l’intervista a Fabrizio Sferra e Costanza Alegiani

Grace in Town è un progetto che esula dal jazz, ma che prende forma proprio da un percorso jazzistico pieno di commistioni: quello del noto batterista Fabrizio Sferra, uno degli artisti di riferimento del jazz italiano, e della cantante Costanza Alegiani. Insieme hanno realizzato 10 brani originali che fondono le sonorità del rock anglosassone al pop e all’elettronica. E’ appena uscito il videoclip del loro primo singolo THE VISIT (https://youtu.be/0EOA4ye3XFo) e domenica 27 gennaio saranno live nella Capitale sul palco del Monk (www.monkroma.it) con una band d’eccezione.  Noi di Jazz Agenda ci siamo incuriositi e abbiamo voluto intervistarli per voi.

Fabrizio, quale è il percorso che ti ha condotto fino a Grace in Town?

“Grace in Town nasce dalla voglia di riprendere una pratica abituale della fanciullezza e dell'adolescenza (prima cioè di cominciare a dedicarmi, all'età di diciotto anni, allo studio della batteria e all'avventura del jazz, sviluppata poi in questi ultimi quarant'anni), quella cioè del cantare e scrivere canzoni.  Quindi è nato, a livello musicale, come un gioco: il ritrovarsi intimo con una vecchia, semplice passione: mettere insieme il canto di una linea melodica con degli accordi, e lasciarsi trasportare nello sviluppo di una forma. Insieme a Costanza Alegiani abbiamo così messo su un repertorio, che in questi ultimi tempi è stato perfezionato e ha man mano assunto una fisionomia a livello di sound, anche grazie alla scelta, come collaboratori, di musicisti straordinari, non solo ottimi strumentisti, ma dotati di una forte personalità artistica.

Costanza, il vostro primo singolo THE VISIT e in generale il progetto GRACE IN TOWN si presentano come una narrazione. Puoi anticipare un po’ delle vostre “storie” ai nostri lettori?

Riguardo l’aspetto narrativo dei testi, le modalità di scrittura e le ispirazioni sono molteplici; sicuramente la grande passione per il cinema, che condivido fortemente con Fabrizio, mi porta a visualizzare idee e storie attraverso immagini in movimento, personaggi, scene, nati dalla mia fantasia e da quello che la musica mi suggerisce. Non a caso il nome del progetto, Grace in Town, evoca l’idea di un soggetto che entra in scena e nelle varie canzoni recita diversi ruoli, come attore e come spettatore. Così troviamo la ragazza ‘fenice’ che porta lo sconvolgimento nelle vite tranquille di un villaggio, in Phoenix, oppure l’incontro tra un uomo e un essere ‘alieno’, altro, che lo porterà ad una trasformazione attraverso un’esperienza ‘psichedelica’, nel brano The Visit. La giovane donna di Try me out chiede una seconda possibilità, come un vestito di seconda mano, mentre l’uomo di Three lives before my end è perso dentro un videogame, senza ricordi riguardo la sua identità. E così via, per ogni brano una nuova storia interpretata od osservata da Grace.

Fabrizio, in questo album sei anche nella veste inedita di cantante. Come nasce questa tua esigenza, e come hai conciliato l’esistenza di un secondo batterista nella band di Grace in Town?

La decisione di cantare io stesso o partecipare comunque al canto di questi brani è anch'essa figlia dello stesso meccanismo: restituirmi all'esperienza originale, di quando ero bambino e ragazzo. Esperienza questa, del cantare, che ha comunque costituito negli anni, anche se in maniera non esplicita, la base del mio rapporto con la musica jazz e con l'avventura da batterista. E se da un lato, ora che entro in scena senza i tamburi a 'proteggermi'', devo affrontare un certo imbarazzo, dall'altro sono tranquillo nel sostenerlo con un approccio che accosta alla serenità del gioco la dovuta serietà e professionalità. La scelta di prendere un batterista (che nei concerti sta via via assumendo il ruolo di batterista primario se non unico), che è Federico Scettri, affermato e validissimo artista poliedrico, è legata proprio al fatto di riuscire così a vivere e godere appieno sempre più del ruolo di cantante.  Devo dire comunque che nei momenti in cui abbiamo condiviso il ruolo a due strumenti, e magari potrà succedere ancora, come sul disco, non solo non abbiamo avuto alcun problema, ma l’esperienza è stata davvero eccitante

Costanza, come mai la scelta della lingua inglese per i vostri testi?

Scrivere è un’arte solitaria ed intima, ma Grace in Town è stato da subito un gioco condiviso con Fabrizio Sferra. Nei nostri primi esperimenti di canzoni a quattro mani ho iniziato a scrivere testi e poesie che mi venivano suggeriti dal suono stesso della musica e dalle melodie canticchiate da Fabrizio. Potrei dire di aver adottato una pratica di “traduzione” del suono in parola, cercando la massima adesione attraverso il suono dell’inglese, data la natura musicale dei brani, per lo più di ispirazione britannica (prog rock, triphop…) e statunitense.

Costanza, è appena uscito il videoclip del vostro primo singolo THE VISIT in cui recitate in prima persona. Che atmosfere evoca?

Partendo dal testo della canzone, il regista Francesco Di Giorgio ha costruito un video che racconta l’incontro tra due persone distanti. Apparentemente.  I due protagonisti, un uomo e una donna immersi in uno scenario urbano notturno, sono legati unicamente da un elemento scenico che entra nell’ambiente dell’uno e dell’altra: un vecchio tv che trasmette il video di un duo.  In spazi e ambiti differenti, e caratterizzati da una diversa componente di luce, più calda lei, più fredda lui, i due si trovano a vedere segmenti dello stesso video, della stessa coppia, un uomo e una donna che cantano.   In un crescendo di alternati tra i due protagonisti, gli schermi cominciano a trasmettere messaggi, parole, frasi che sembrano raccontare non solo la storia del brano ma anche quella della coppia stessa.

Fabrizio, vi sono degli artisti per voi di particolare riferimento in musica e/o nelle altre Arti?

E’ facile riscontrare nel nostro disco una varietà di influenze musicali. Questo dipende soprattutto dalle suggestioni, consapevoli e non, provenienti dalla stratificazione di ascolti distribuiti in cinquant'anni di vita, a partire proprio dai primi anni, in cui si sovrapponevano la musica pop italiana, non solo quella dei grandi cantautori, il rock progressive che ascoltava mio fratello maggiore, la canzone americana, veicolata dalla passione di mio padre per il jazz, la grande Opera, territorio del nonno. Detto questo, sono tanti i musicisti che io e Costanza amiamo, e in generi assolutamente differenti fra loro, ma nessuno a cui ci siamo specificatamente riferiti. Per quanto riguarda le altre arti, fra tutte spicca la nostra reciproca e condivisa passione per il Cinema, e il nome Grace, per due folli appassionati come noi, ha un discreto potere evocativo…

Lasciateci le coordinate web per rimanere aggiornati su Grace in Town

 - https://www.graceintown.com

 - https://www.facebook.com/graceintown/

 - www.instagram.com/grace_in_town

 - https://spoti.fi/2QV1ZIE

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Live Report: Enrico Rava Tribe alla “Casa del Jazz festival”

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In un periodo così ricco di eventi e soprattutto di grandi concerti non potevamo certamente mancare all’apertura del festival che come ogni anno si tiene alla Casa del Jazz durante l’estate. E ad aprire una rassegna che come sempre porta con sé alcuni dei più grandi nomi del panorama jazzistico nazionale ed internazionale non poteva che esserci una formazione di spicco come quella capitanata da  Enrico Ravache, per l’occasione ha portato con sé i componenti della sua “Tribe”, ovvero Gianluca Petrella al trombone, Govanni Guidi al pianoforte, Gabriele Evangelista al contrabbasso e Fabrizio Sferraalla batteria. Un’ulteriore testimonianza del fatto che Rava, oltre ad essere uno dei migliori musicisti del mondo, ama anche mettersi a confronto con alcuni dei giovani più talentuosi che suonano in Italia in questo momento. Dunque, l’atmosfera che si respira alla Casa del Jazz prima che inizi il concerto è come al solito accogliente. Riusciamo persino a goderci un po’ di brezza che, accompagnata dal magico suono delle cicale, ci accoglie in un tramonto suggestivo dai colori più variegati. E intorno alle 21:15, quando il concerto sta per cominciare, dopo che abbiamo perso per un po’ la cognizione del tempo, ci accorgiamo che il parco è quasi tutto pieno. Pochi minuti e i musicisti sono già sul palcoscenico. 

Ora, tutti gli amanti del jazz e soprattutto tutti quelli che hanno già sentito suonare almeno una volta Enrico Rava, sanno bene che descrivere a parole un suo spettacolo è un compito più che arduo, motivo per cui, al di là dell’esecuzione tecnica più che perfetta, lasceremo spazio alle emozioni, e soprattutto alle suggestioni che il concerto ci ha regalato. E allora una breve voce che annuncia il concerto e la “Enrico Rava Tribe”, in men che non si dica, sale sul palcoscenico. Dunque, come spesso e volentieri ci hanno abituato molti grandi musicisti che si sono susseguiti nei precedenti festival organizzati in questa location, l’inizio del concerto si concilia perfettamente con l’atmosfera che si respira in quel momento alla Casa del Jazz. Un tramonto suggestivo, un alito di vento che porta finalmente un po’ di lucidità e una musica un po’ nostalgica e malinconica che accompagna i nostri pensieri. Poi la musica cresce d’intensità, i fiati si alternano, a volte dialogano fra di loro sovrapponendosi come se fossero una voce sola,  a volte si sfidano a duello, a volte lasciano spazio ad altri strumenti.

E in tutto questo, Giovanni Guidi si fonde perfettamente con il suo strumento, Gabriele Evangelista abbraccia il suo contrabbasso, creando una ritmica avvolgente e profonda, e Fabrizio Sferra suona la sua batteria ad occhi chiusi, quasi in uno stato di trance. Nel frattempo Enrico Rava e Gabriele Petrella parlano sul palco, scherzano, ridono e si fermano a contemplare i propri compagni sul palcoscenico. E al termine della serata, a testimonianza del valore di questa formazione, viene chiesto a gran voce un bis che naturalmente viene concesso. Alla fine un Enrico Rava commosso ringrazia il pubblico esprimendo tutta la sua gioia per aver suonato a Roma. E allora possiamo dire che abbiamo passato una serata in una splendida cornice con un ancor più splendido concerto che ci ha dato l’opportunità di ascoltare uno dei migliori jazzisti del mondo. E il nostro consiglio, visto il cartellone, è quello di non mancate ai prossimi eventi!

Valentino Lulli

foto di Valentino Lulli

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Live Report: Enrico Rava Tribe alla “Casa del Jazz festival”

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In un periodo così ricco di eventi e soprattutto di grandi concerti non potevamo certamente mancare all’apertura del festival che come ogni anno si tiene alla Casa del Jazz durante l’estate. E ad aprire una rassegna che come sempre porta con sé alcuni dei più grandi nomi del panorama jazzistico nazionale ed internazionale non poteva che esserci una formazione di spicco come quella capitanata da  Enrico Ravache, per l’occasione ha portato con sé i componenti della sua “Tribe”, ovvero Gianluca Petrella al trombone, Govanni Guidi al pianoforte, Gabriele Evangelista al contrabbasso e Fabrizio Sferraalla batteria. Un’ulteriore testimonianza del fatto che Rava, oltre ad essere uno dei migliori musicisti del mondo, ama anche mettersi a confronto con alcuni dei giovani più talentuosi che suonano in Italia in questo momento. Dunque, l’atmosfera che si respira alla Casa del Jazz prima che inizi il concerto è come al solito accogliente. Riusciamo persino a goderci un po’ di brezza che, accompagnata dal magico suono delle cicale, ci accoglie in un tramonto suggestivo dai colori più variegati. E intorno alle 21:15, quando il concerto sta per cominciare, dopo che abbiamo perso per un po’ la cognizione del tempo, ci accorgiamo che il parco è quasi tutto pieno. Pochi minuti e i musicisti sono già sul palcoscenico.

 

Ora, tutti gli amanti del jazz e soprattutto tutti quelli che hanno già sentito suonare almeno una volta Enrico Rava, sanno bene che descrivere a parole un suo spettacolo è un compito più che arduo, motivo per cui, al di là dell’esecuzione tecnica più che perfetta, lasceremo spazio alle emozioni, e soprattutto alle suggestioni che il concerto ci ha regalato. E allora una breve voce che annuncia il concerto e la “Enrico Rava Tribe”, in men che non si dica, sale sul palcoscenico. Dunque, come spesso e volentieri ci hanno abituato molti grandi musicisti che si sono susseguiti nei precedenti festival organizzati in questa location, l’inizio del concerto si concilia perfettamente con l’atmosfera che si respira in quel momento alla Casa del Jazz. Un tramonto suggestivo, un alito di vento che porta finalmente un po’ di lucidità e una musica un po’ nostalgica e malinconica che accompagna i nostri pensieri. Poi la musica cresce d’intensità, i fiati si alternano, a volte dialogano fra di loro sovrapponendosi come se fossero una voce sola,  a volte si sfidano a duello, a volte lasciano spazio ad altri strumenti.

E in tutto questo, Giovanni Guidi si fonde perfettamente con il suo strumento, Gabriele Evangelista abbraccia il suo contrabbasso, creando una ritmica avvolgente e profonda, e Fabrizio Sferra suona la sua batteria ad occhi chiusi, quasi in uno stato di trance. Nel frattempo Enrico Rava e Gabriele Petrella parlano sul palco, scherzano, ridono e si fermano a contemplare i propri compagni sul palcoscenico. E al termine della serata, a testimonianza del valore di questa formazione, viene chiesto a gran voce un bis che naturalmente viene concesso. Alla fine un Enrico Rava commosso ringrazia il pubblico esprimendo tutta la sua gioia per aver suonato a Roma. E allora possiamo dire che abbiamo passato una serata in una splendida cornice con un ancor più splendido concerto che ci ha dato l’opportunità di ascoltare uno dei migliori jazzisti del mondo. E il nostro consiglio, visto il cartellone, è quello di non mancate ai prossimi eventi!

Valentino Lulli

foto di Valentino Lulli

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