JAZZ AGENDA

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Luisa Cottifogli racconta Anita, il suo ultimo lavoro da studio

foto di Stefano Caporilli

In precedenza vi avevamo già parlato di Anita, l’ultimo lavoro di Luisa Cottifogli (ex cantante dei Quintorigo) pubblicato dall’etichetta Nuccia Records, un progetto interessante che ha visto la trasformazione di uno spettacolo teatrale “Anita dei due Mondi”, prodotto dal Ravenna Festival nel 2008, in un cd esclusivamente musicale. E sono tante le contaminazioni che abbiamo potuto ascoltare in un lavoro che ci è apparso ben curato nei minimi dettagli, a partire dalla musica latino americana per giungere ad alcuni dialetti tipici della tradizione italiana. Quindi, senza girarci troppo intorno, non neghiamo che questo progetto, così ricco di contaminazioni diverse, ci ha davvero incuriositi e di conseguenza abbiamo raggiunto Luisa Cottifogli che ci ha raccontato in prima persona la storia di Anita.

Prima che diventasse un progetto elaborato in studio “Anita” è stato uno spettacolo teatrale, “Anita dei Due Mondi”, vuoi raccontarci la genesi di questo nuovo lavoro?

“Questo lavoro nasce da uno spettacolo teatrale: “Anita dei due mondi”, prodotto da Ravenna Festival nel 2008 con la regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi.. Lì sulla scena agiva Anita Garibaldi, attraverso parole e musica, e il mio ruolo era quello di entrare da attrice nel personaggio – visto attraverso momenti e temi fondamentali della sua vita – e uscirne da musicista per cantare. In un secondo momento ho sentito la necessità di raccogliere in un cd esclusivamente musicale alcuni dei brani più significativi dello spettacolo, con l’aggiunta di altri due che avevo nel cassetto. I temi del cd sono i leit-motiv dello spettacolo: l’attesa (Anita che aspettava Garibaldi di ritorno dalle guerre e dai viaggi, Anita che per cinque volte ha aspettato un figlio da lui…). Poi la determinazione della propria vita (Anita, che da bimba è stata educata come un maschio dal padre, viene poi costretta dopo la morte di lui, all’età di quattordici anni, a sposare un uomo non amato, più vecchio, spesso ubriaco e autoritario. Allora aderisce alla politica libertaria di ribellione al potere dell’impero, si innamora di Garibaldi e decide di fuggire con lui per combattere al suo fianco, per la libertà del popolo brasiliano e di quello di altri paesi sudamericani. Lascia suo marito che era partito in guerra nelle truppe imperiali e decide la sua vita, ritrovando la libertà nella quale era cresciuta). Infine il ricordo e la morte (Anita ricordava in modo struggente i momenti nei quali era vivo il padre, che la portava a cavalcare sulla spiaggia e la spronava alla libertà e alla vita)”.

foto di Stefano Caporilli

Quanto ti rispecchi nella figura di Anita?

“Sia nello spettacolo teatrale che nelle parole dei miei brani l’identificazione fra Luisa e Anita è quasi totale, attraverso i temi della libertà, dell’auto-determinazione della propria vita, dell’avventura del vivere, ma anche della morte , dell’attesa e del ricordo.
Temi universali che permettono l’identificazione di ognuno di noi con i testi delle canzoni. Forse la forza del disco “Anita” sta proprio qui. Ed è la prima volta che in un mio lavoro sono le parole a motivare e a generare la musica e che, pur di non compromettere la forza dei testi, talvolta canto sottovoce.
Un critico ha recentemente scritto: “Anita ha l’effetto di far dimenticare la musica e di scardinare il confine fra la vita e la mia vita … canzoni che Luisa Cottifogli mi ha strappato dall’anima, come fossero sempre state mie”.

foto di Stefano Caporilli

In Anita sono molte le contaminazioni con la musica latino americana. C’è un affetto particolare che ti lega al Sudamerica?

“Questo ideale viaggio in Sudamerica è legato al personaggio stesso di Anita, nata a Laguna nel sud del Brasile (territorio nel quale veniva parlata una lingua mista di portoghese e spagnolo, il “Portugnolo”) poi emigrata a seguito di Garibaldi in Uruguay e in Italia dove a Mandriole,  nei pressi di Ravenna, troverà la morte.
Ecco allora che nel disco si intrecciano il portoghese brasiliano, lo spagnolo, l’italiano e perfino il romagnolo. E l’italiano che utilizzo è volutamente imperniato di ritmiche e richiami melodici sudamericani.
Ogni progetto che realizzo mi porta in varie parti del mondo attraverso le lingue parlate e i linguaggi musicali, e ogni volta finisco per innamorarmi di quello che trovo.
In questo caso sono sbarcata per la prima volta in Sud America, scoprendo un bellissimo repertorio che intendo utilizzare nel  live di “Anita” accanto ai brani del cd”.

foto di Andrea Bernabini

E quale è il  tuo legame con la cultura popolare italiana?

“Anche in questo caso basta scavare nelle radici culturali e nei dialetti di ogni regione d’Italia per scoprire fonti ineguagliabili di poesia e forme musicali fra le più disparate e interessanti.
Un esempio: attraverso il lavoro di ricerca sulle tradizioni romagnole che ha preceduto la registrazione del mio precedente disco “Rumì”, ho scoperto un mondo affascinante che mi ha dato forti ispirazioni musicali, ma anche la voglia di conoscere le varie regioni d’Italia con lo stupore e l’interesse che di solito dedichiamo a paesi lontani considerati “esotici”. Lo stesso stupore che mi ha preso quando ho incontrato, grazie alla collaborazione musicale coi piemontesi Marlevar, la cultura e la lingua provenzale delle valli del cuneese”.

Quando suonerai a Roma ?

“Anita ha un trascorso romano piuttosto burrascoso. Nel 1849 arriva nella capitale per riunirsi al suo amato Giuseppe Garibaldi, ma è subito costretta con lui alla fuga, inseguita dalle truppe francesi e austriache dopo il crollo della repubblica romana. Durante questa trafila troverà la morte nei pressi di Ravenna. Dopo un anno Garibaldi tornerà in Romagna a prenderne le spoglie per portarle con sé a Nizza. Nel 1932 esse saranno definitivamente deposte nel basamento del monumento equestre del Gianicolo dedicato all’eroina dei due mondi.
Mi piacerebbe riportarla alla vita proprio a Roma, attraverso i miracoli che solo l’arte e la musica sanno compiere. E spero sarà molto presto”.

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Luisa Cottifogli racconta la genesi del trio Youlook e del primo disco dal titolo “Desert Island”

Si intitola Desert Island ed è il primo progetto che porta la firma del trio Youlook composto da Gigi Biolcati alla batteria e percussioni, Aldo Mella, al basso elettrico e al contrabbasso, e Luisa Cottifogli alla voce ed effetti. Un progetto innovativo, all’insegna della sperimentazione, nel quale i componenti del gruppo si sono cimentati con un repertorio eterogeneo formato da brani famosi della storia del rock e composizioni originali. Luisa Cottifogli ci ha raccontato la genesi e lo sviluppo di questo trio che ha dato i natali al Disco “Desert Island”

La prima cosa che ho notato ascoltando Youlook è stata l’assenza di uno strumento di accompagnamento come potrebbe essere la chitarra o il pianoforte. Perché questa scelta?

“Chitarra e pianoforte? Troppo facile… Il  fatto di non avere uno strumento propriamente armonico é uno stimolo perché spinge a cercare continuamente nuove soluzioni e nuovi suoni. Aldo Mella comunque non ci fa sentire la mancanza di uno strumento del genere, perché quando vuole utilizza il basso come se fosse una chitarra, inoltre gli strumentisti all’occorrenza fanno i coristi, e quindi non manca l’armonia!”

In questo disco sono presenti brani di diversa estrazione e anche composizioni originali a vostra firma. Perché avete scelto un repertorio così eterogeneo?

“Perché il nostro approccio a questo progetto é quello del puro divertimento, ma con stile. Abbiamo scelto alcuni brani che avremmo sempre voluto suonare, ma che non abbiamo mai affrontato perché non facevano parte del nostro repertorio stilistico. La sfida é quella di suonare pezzi conosciuti rivedendoli in modo completamente nostro.”

E qual è stato il vostro approccio alla composizione?

“Un approccio improvvisativo, cioè sessioni in studio, dalle quali escono versioni di brani conosciuti o scritti da qualcuno di noi, oppure improvvisazioni dalle quali scaturiscono anche spunti sonori sui quali lavorare  assieme.”

Ascoltando la musica, soprattutto quella originale, non ho potuto fare a meno di accostare i brani e le composizioni al nome del disco “Desert Island”: Un titolo del genere rappresenta forse una ricerca interiore oltre che musicale?

Certamente. Qualsiasi progetto musicale é per me una nuova ricerca interiore e credo di poter parlare anche a nome di Gigi e Aldo. Youlook é un fortunato incontro di tre persone che stanno bene insieme e lo manifestano facendo musica. “Desert Island” é l’isola deserta sulla quale portare i nostri sogni e ciò che desideriamo e amiamo di più. In questo caso la musica più bella, quella scritta da altri e quella scritta da noi.

In ultimo un a domanda più generica. Le contaminazioni mi sono sembrate una parte integrante di questo progetto. Secondo te il futuro del jazz sta proprio nel creare ponti e nel mischiare le carte in tavola?

“Credo che il jazz sia nato storicamente proprio con questo spirito, quello di creare ponti e mettere assieme culture diverse. Ha continuato a progredire su questa strada, checché ne dicano i puristi (ma poi chi decide qual’e’ il jazz “puro”?). Il jazz non può essere chiuso in ambienti accademici o essere la mera perpetuazione di un dato stile. Mi piace ascoltare il linguaggio di artisti provenienti da varie parti del mondo quando portano nella musica i loro stilemi culturali. Il futuro é inevitabilmente questo, qualcuno lo chiamerà ancora jazz, qualcuno no…”

E per quando riguarda il futuro? C’è in programma un nuovo disco o magari un tour?

“I nostri cassetti sono strapieni di idee, vedremo quanti ne riusciremo a realizzare. il tour lo stiamo costruendo per il 2015, per ora c’e’ in previsione qualche data e qualche registrazione.”

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