Danilo Blaiotta

© Foto in alto di Federica Di Benedetto

Partirà sabato 15 novembre con il concerto dei Lost Iq la nuova rassegna jazz organizzata da Rimessa Fab. Un progetto che parte con l’idea di rompere gli schemi, creare ponti e soprattutto aprire nuovi spazi dedicati alla cultura, alla musica, alle arti che si fondono e si contaminano. Tra i nomi presenti nel cartellone Simone Alessandrini, Natalino Marchetti, Stefano Carbonelli, Andrea Biondi, Jacopo Ferrazza, Valerio Vantaggio, Laura Sciocchetti, Lewis Saccocci, Jordan Corda e Francesco Merenda. A parlarci ci questa nuova sfida è il direttore artistico Danilo Blaiotta, tra i più interessanti pianisti e compositori della scena jazz italiana, nonché divulgatore e già docente di storia del jazz presso i conservatori di “N. Paganini” di Genova e “A. Boito” di Parma.

Partiamo innanzitutto dalla programmazione. Qual è l’idea artistica che hai seguito in questa nuova avventura da direttore artistico?

L’idea di base era quella, come espressamente esplicitato da Alessandro Pepe, fondatore e manager di Rimessa FAB, di scegliere progetti con idee artistiche “porose”, ovvero legate a progettualità musicali che si rifacessero, negli intenti e nei contenuti, alla contaminazione con altre forme d’arte e non solo: dall’ispirazione letteraria, a quella delle neuroscienze, a quella pittorica… Ove ciò non accada esplicitamente, mi è interessato scegliere progetti in cui la parola jazz (multi-stilistica e bulimica per sua stessa storia/natura) non rimanesse ancorata in forme mainstream troppo legate a una sorta di “cover” di progettualità artistiche già troppo ascoltate in passato. Il jazz è poroso, aperto dunque a progettualità sempre originali, che ritrova nella commistione con generi diversi (e per i più apparentemente distanti da ciò che si pensa quando si parla di questa musica) la sua vera essenza.

Tante formazioni, spesso trasversali e moderne con una programmazione già scritta fino a dicembre. Ci vuoi spiegare anche che tipo di scelta hai fatto in relazione al calendario?

Come anticipavo nella prima risposta, la trasversalità è la nostra mission, musicalmente e non. Vi faccio volentieri un sunto dei cinque concerti in programma tra novembre e dicembre.

Il concerto di apertura (15 novembre h.22.30) è affidato al trio Lost IQ, composto da Francesco Faro, Giuseppe Vitale e Giuseppe Salime, tre musicisti conosciutisi alla Siena Jazz University e poi spostatisi allo State Conservatoire di Tbilisi, in Georgia, dove hanno avuto modo di formarsi ancora di più come ensemble e sviluppare brani originali dalle più diverse matrici sonore: jazz mediterraneo, funk, rock… 

Il 22 novembre, come secondo concerto, ho scelto il duo Simone Alessandrini & Natalino Marchetti, due tra i più noti musicisti italiani della loro generazione. I sassofoni di Simone si uniscono alla fisarmonica di Natalino, strumento trasversale per eccellenza, frutto di una storia che ha un range di riferimento che va dalla musica popolare, alla chanson française, alla musica contemporanea, al jazz.

Il terzo appuntamento (29 novembre) è affidato al trio “101” (Andrea Biondi, Stefano Carbonelli, Valerio Vantaggio), una delle scommesse più interessanti che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi, una vera esplosione multi-stilistica musicale e non solo. Oltre all’interessante connubio timbrico tra elettronica, chitarra 8 corde, vibrafono e batteria, l’aspetto interessante di questo gruppo (che si lega al discorso iniziale) è la mission: le composizioni originali sono infatti basate su algoritmi di programmazione scientifica e conseguenze filosofiche delle neuroscienze.

Di ispirazione letteraria è invece una suite che scrissi molti anni fa, da cui nel 2021 feci uscire un album intitolato “The White Nights Suite”, trasposizione musicale in 11 movimenti del romanzo breve “Le Notti Bianche” di Dostoevskij. Con Jacopo Ferrazza e Valerio Vantaggio alla ritmica (Danilo Blaiotta Trio) ci esibiremo con questo repertorio nel terzo concerto, sabato 6 dicembre.

L’ultimo appuntamento (13 dicembre) vede come protagonista la talentuosa vocalist, compositrice e arrangiatrice Laura Sciocchetti, che nel suo ultimo lavoro rende omaggio alle sorelle Brontë (peraltro la Sciocchetti non è nuova a questo genere di commistioni, avendo pubblicato il suo primo album “Characters” -Filibusta Records- omaggiando la poesia di Emily Dickinson). La formazione è molto particolare, perché formata da strumenti non sempre ascoltabili in un’unica compagine. Oltre alla voce della stessa Sciocchetti, troviamo il vibrafono di Jordan Corda, l’organo Hammond di Lewis Saccocci e la batteria di Francesco Merenda.

I miei “Musical thrillers”, che si terranno alle h.18 una volta al mese (il 22/11 e il 13/12 alle 18), sono invece delle vere e proprie lezioni-concerto che hanno come scopo quello di rivelare segreti, intrighi e fake news che si celano dietro alcuni grandi capolavori della musica del Novecento. Le lezioni prevedono dunque, oltre allo storytelling del sottoscritto, l’utilizzo di documenti audio/video e l’ascolto di alcune partiture dal vivo al pianoforte.

Una location molto trasversale aperta al jazz e alla cultura in generale. Cosa ti ha colpito maggiormente di questo posto e cosa ti ha spinto a intraprendere questa nuova strada?

Rimessa FAB è un luogo nato, come raramente accade, da un’idea di democrazia e di collaborazione artistica che vede, oltre al mio apporto nella programmazione musicale, il contributo di intellettuali, artisti, scrittori, performer, pensatori, amici (tra questi Christian Raimo, Paolo Pecere, Lucia Re, Marco Cassini, Virginia Ilie, Piera Soggia, Alessandra Di Pietro, Gianluca Torelli e molti altri). Colpisce subito di questo luogo la strepitosa idea architettonica di Julia Forte, Rossella Sibilio, Quercia 21. E soprattutto l’inesauribile visione del creatore di tutto ciò, colui che ci ha coinvolto in questo progetto: Alessandro Pepe, fondatore di Rimessa Roscioli a Roma e di Roscioli NY a Manhattan, vero tuttofare che si muove come un “folletto delle tavole” il quale ci coinvolge continuamente in dialoghi aperti ove mettere sempre qualsiasi cosa in discussione, non dare per scontato nulla, aprirsi allo spirito critico.

FAB è un luogo di gastronomia ricercata e mai banale: chef strepitosi (Giulia Teverini, Tommaso Fratini, Fabiola Palmieri), scelte accuratissime di vini (Collettivo Botanico), il tutto in un clima accogliente e caldo. Al piano di sopra è presente un bancone con cucina a vista e tavolini, al piano di sotto abbiamo invece il vero e proprio “club”, uno spazio circondato completamente da libri (grazie anche alla collaborazione di Edizioni SUR e Libreria Trastevere), vini, e un meraviglioso stage dotato di backline completo (da pianista, non posso non sottolineare il bellissimo Yamaha C3 degli anni ’90, dal suono caldo e avvolgente), amplificatori chitarra e basso, batteria jazz completa.

Il Jazz è musica democratica, accoglie tutto e tutti: lo è sempre stata, fin da prima che lo catalogassimo con questa accezione. Potremmo dunque affermare che lo sia per antonomasia. Rispondo dunque con una domanda retorica: per il sottoscritto, che oltre a suonare e comporre passa la propria vita a leggere libri, insegnare storia della musica e divulgarla, cosa poteva non colpirmi di un posto del genere?

Quali pensi che siano le potenzialità di questo luogo e soprattutto in cosa si diversifica rispetto ad altre location che troviamo nella capitale?

Parlando di proposta culturale, è sempre poco carino fare classifiche o sentire che un posto sia migliore / peggiore rispetto ad un altro. Facciamo una riflessione sull’offerta dei piccoli luoghi legati all’arte nella capitale (il club di Rimessa FAB conta massimo una sessantina di posti a sedere). Roma è un crogiuolo di piccole grandi attività culturali, per fortuna. Abbiamo dei jazz club storici che spesso ospitano anche grandi nomi, innumerevoli piccoli teatri con programmazioni di prosa molto attive, eventi poetici, incontri e presentazioni nelle librerie… Insomma, trovo che il substrato culturale di questa città sia vivo e vibrante. Forse però, alla luce di tutto questo bel movimento, mancava in città un club, un hub culturale, in cui si scardinasse il muro del proprio pubblico, della propria gente, della propria arte, e si facesse confluire in un unico progetto tutto questo. È chiaro che, a livello di macrostrutture, certamente il Parco della Musica è un luogo molto poroso in cui tutto il meglio (dal punto di vista specialmente degli artisti più noti) può essere raccontato, nella prosa come nella sinfonica, nel jazz come nei festival di libri o negli eventi letterari. Ed è ovvio che, pensando al jazz, Casa del Jazz è il luogo in cui, chi fa un mestiere come il mio, si è sempre sentito a casa in questi anni, grazie al perfetto connubio tra artisti più mainstream e giovani emergenti.

Anche nella Parigi dei primi del Novecento esistevano le macrostrutture… Ma dove si recava Stravinskij dopo aver diretto la Sagra della Primavera al théâtre des champs-elysées? Dove tessevano le loro contaminazioni artisti come Milhaud, Ravel insieme a Cole Porter o (quando ne ha frequentato i luoghi) lo stesso George Gershwin? Chi ha scritto il manifesto “Il Gallo e l’Arlecchino” dei famosi “Les six”, compositori di matrice colta che però strizzavano occhi e tendevano orecchie al nuovo jazz che proveniva dall’altra parte dell’Atlantico? Un poeta, Jean Cocteau! Chi ha creato la prima grande opera surrealista della storia, “Parade”? Le musiche erano di Erik Satie, il libretto di Cocteau, le note di sala di Apollinaire, le scenografie di un certo Pablo Picasso… Tutto ciò accadde perché esistevano alcuni piccoli luoghi “porosi”, come ad esempio “Le Boeuf sur le Toit”, dove potevi trovarli, tutti insieme, a cambiare la storia dell’arte dell’intero Novecento, sorseggiando un bicchiere di vino e scatenando le contaminazioni più impensabili (la storia della musica di quegli anni proveniente dalla Ville Lumière lo dimostra ampiamente).

Con questo, senza nessun paragone e nessun anacronismo (che rischia di rasentare quello che i nostalgici chiamano “anemoia”), voglio affermare solo che, in poche parole, sono i piccoli luoghi che fanno la differenza. Quello che mancava fino ad oggi a Roma era proprio questo incontro tra le arti in un piccolo luogo. Noi, quantomeno, ci stiamo provando. E, come si dice, chi vivrà vedrà!

La programmazione è già scritta fino a dicembre 2025. Avete già un’idea su come proseguire nel 2026? Ci vuoi dare qualche anticipazione?

Intanto venite a trovarci nelle nostre prime iniziative! La vostra presenza è essenziale per darci coraggio, e continuare a credere nel nostro sogno.

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