Domenica 1° giugno all’Asino che Vola ANÈ feat Takkarate Boys, presenta il disco “Su la testa!” appena pubblicato dall’etichetta Filibusta Records. Un disco che fonde il rock, il jazz e la world music che affonda le radici in un sound 70/80 recentemente pubblicato dall’etichetta Filibusta Records. In questo progetto quasi interamente strumentale, le composizioni originali si possono vedere come dei quadri sonori che impressionano le visioni di stampo cinematografico dell’autore. Ce lo racconta ANÉ in persona alle soglie della presentazione ufficiale in una delle location più suggestive della capitale.
Cominciamo l’intervista parlando del concerto presentazione del tuo nuovo disco all’Asino che Vola: vuoi darci qualche anticipazione su come si svolgerà?
Sì ti anticipo che sarà una festa che mi darà doppia emozione, perché oltre all’uscita del nostro album festeggeremo il mio 50° compleanno insieme a tutti gli amici che verranno a trovarci, e oltre ai quattro Takkarate Boys, cioè Andrea Nicolè alla batteria, Loris Ruscitti piano e tastiere, Raffaele Ventura Costa al basso e Ippolito Pingitore alle percussioni, ci saranno alcuni ospiti come Jacopo Barbato alla chitarra e Cristian Fortucci all’organo Hammond. Inoltre per dare maggiore giustizia alla bellezza del fumetto realizzato da Ruggiero Valentini per la copertina di SU LA TESTA! abbiamo realizzato dei poster che riproducono su carta naturale la tavola fumettata originale e domenica ne avremo un certo numero!
Su la testa è un disco ricco di contaminazioni che spazia tra diversi linguaggi. Ce le vuoi descrivere?
A dirti la verità io le contaminazioni non le percepisco neanche più come tali perché ci sono cresciuto dentro, sia a livello personale che musicale: credo prima di tutto che se vuoi essere vero nella tua espressione musicale non puoi fare a meno di suonare quello che ti contamina, quindi dentro ci sta sempre il mio retroterra culturale con radici nella tradizione popolare pugliese e campana, lo studio del jazz oltre alle mie prime esperienze da musicista professionista a contatto con l’hiphop, il cantautorato e in seguito con una band, gli Pseudofonia esponente pugliese di un genere che si chiamava apposta patchanka, un misto di reggae ska punk fisarmoniche e dialetto foggiano. Per non parlare degli anni romani in cui ho approfondito la conoscenza della musica africana e fatto molti concerti con bands rock. Sono tutti linguaggi che mi diverto a far emergere sempre e in questo disco sono in particolare come veicolati da un immaginario di tipo cinematografico, cioè molto spesso mi sono ritrovato a immaginare storie e scene da film allo scopo di dare una forma a questo o quel brano.
È un periodo in cui i generi musicali si fondono e confondono. Ha ancora senso dunque parlare di generi musicali?
Per me non ha mai avuto un gran senso, anche se può essere evidente la differenza comunicativa tra Paul Desmond e Angus Young, ma se ti affascinano fin da subito i suoni di Kind of Blue, Mr Gone, The Third World di Gato oppure Zappa capisci che rimane una distinzione utile solo ai fini di un catalogo commerciale.
La contaminazione e l’abbattimento dei confini sono per te il futuro nel jazz e nella musica in generale?
La contaminazione nel jazz da Bitches brew in poi c’è sempre stata, ma in fondo il jazz stesso è nato come una contaminazione, però è anche vero che gli ostacoli e i confini sono soprattutto nella mente di chi fa musica quindi oggi vedo anche un rifiorire di una certa ortodossia tra i jazzisti come se ci fosse un limite a ciò che è jazz e ciò che non lo è o non lo sembra: io per esempio in questo disco mi sono divertito a usare di più l’aspetto armonico e melodico del jazz che quello ritmico, affidato invece al rock, al soul, al funk…come vedi talvolta è utile catalogare i generi.
Il titolo del disco, invece, è un gioco di parole? Ha un significato particolare per te?
Si in parte fa il verso al titolo del celebre western, ma la coincidenza vuole che se nel film per sfuggire alle pallottole bisognava stare abbassati, secondo noi per sopravvivere alle contraddizioni del mondo in cui viviamo basterebbe semplicemente tornare a rivolgere lo sguardo al mondo e vederlo per com’è realmente, invece che tenere gli occhi calati nella dimensione virtuale dei nostri telefonini.
Raccontaci adesso la storia di questo progetto: come è nato e come si è evoluto nel tempo?
Anè come concetto musicale nasce nei primissimi anni duemila, quando cominciai ad usare questo pseudonimo per le mie produzioni musicali personali, inoltre mi piaceva che il suono di questo termine foggiano si avvicinasse a qualcosa di africano o arabo. All’epoca mi addentrai molto nello studio di certe sonorità world, afro-mediterranee, e balcaniche quando iniziai a suonare con gli Pseudofonia. Dopo tantissimi concerti in cui ebbi modo di capire quanto fosse musicale anche il nostro dialetto, mi cimentai nell’arrangiare un certo numero di brani del cantautore dialettale Matteo Salvatore, un lavoro completo che tuttavia non ho mai pubblicato. In seguito ho cominciato a scrivere pezzi miei sia strumentali che con testo in dialetto e prima di mettermi a scrivere i brani che poi sono finiti in SU LA TESTA! Ho passato un periodo, dal 2015 al 2020, a suonare “cover ” riarrangiate di grandi sassofonisti del jazz più vicini al mondo della world, come Gato Barbieri, Jan Garbarek, Sonny Rollins e altri. Nel 2020 ho deciso di mettere a frutto anche tutte le mie esperienze rock e farle confluire in quella commistione che ha dato vita a Su La Testa! in cui spero di aver raggiunto un buon equilibrio di influenze.
Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?
Fare un elenco delle mie influenze musicali è sempre difficile ma se magari può servire a stimolare l’ascolto nelle persone più giovani ne citerò qualcuna: Weather Report, Zappa, Gato Barbieri, Napoli Centrale, Area, Led Zeppelin, J.Brown, EWF, King Crimson, Argent, Morphine ma è un elenco assolutamente incompleto.
Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?
Faccio musica da 35 anni, ho lavorato come session man suonando la musica di altri in tanti progetti che avevano lo scopo di accontentare i gusti del pubblico. Adesso mi trovo invece a proporre una musica che non cerca il compiacimento commerciale ,quindi il futuro di questo progetto dipenderà esclusivamente dal modo in cui si creerà una sintonia tra noi e chi ci ascolta. La sua evoluzione dipenderà da quello che continuerà ad attirare la nostra attenzione , anche a livello sociale e culturale. Tuttavia credo anche ai colpi di fortuna, ma questa è un’altra storia…