Un disco dal sound contemporaneo in cui si fondono elementi di funk, jazz e neo-soul. Sono queste le caratteristiche principali di Distopìa, album d’esordio del sestetto Fiorentino Saihs pubblicato nel luglio del 2025 dall’etichetta GleAM Records. Un progetto frutto dei primi due anni di esperienza di questa formazione che nasce dal Lavoro collettivo e da un profondo spirito di condivisione. Ecco il racconto di questa avventura.
Per cominciare l’intervista parliamo subito del disco: vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?
“Distopia” è il risultato di nostre composizioni originali, fatta eccezione per Celia, di Bud Powell, e arrangiata da Lorenzo Fiorentini, maturate nel corso dei primi due anni della nostra esperienza come gruppo. Stilisticamente i brani sono accomunati da sezioni molto arrangiate, bilanciate da momenti in cui viene dato molto spazio all’improvvisazione. Trattandosi di un lavoro organizzato a partire dal primo materiale musicale che ognuno di noi ha condiviso con l’altro, abbiamo dovuto appianare quel tipo di eterogeneità stilistica che avrebbe rischiato di creare un quadro confusionario. Crediamo che infine l’elemento chiave che garantisce coerenza alla nostra musica sia la sonorità che il gruppo ha costruito e sta maturando grazie all’impegno e alla passione di tutti noi. “Distopia” è uscito il 4 luglio scorso sotto l’etichetta GleAM Records di Angelo Mastronardi, come parte del premio della prima edizione del concorso “Alberto Alberti”.
Raccontateci adesso la storia di questo progetto: come è nato e come si è evoluto nel tempo?
Nell’aprile del 2023 il contrabbassista (Giulio Barsotti) e il trombonista (Giulio Tullio) hanno avuto l’idea di formare un sestetto per partecipare al Conad Jazz Contest, importante concorso promosso da Umbria Jazz per jazz band emergenti. Siamo quindi diventati sei, o meglio, “Saihs” (che significa “sei”, in gotico). A completare la formazione ci sono quindi Matteo Zecchi al sax tenore, Giulio Mari alla tromba, Edoardo Battaglia alla batteria e Lorenzo Fiorentini al pianoforte. Il gruppo, a parte il trombonista (padovano di origini lucane), è formato interamente da toscani. La base, fin dalla prima session, è la scuola di musica di Campi Bisanzio di Massimo Barsotti. Un grande ringraziamento va a lui, per averci regalato una “culla”, poi spazio vitale in cui stiamo crescendo. Decidiamo così di iniziare insieme questo percorso con l’alibi della partecipazione al Conad Jazz Contest. Ci siamo poi (purtroppo e per fortuna) trovati molto bene insieme, e senza pensarci abbiamo continuato a provare e a scrivere brani. Nel giro di due anni abbiamo vinto diversi concorsi (Conad Jazz Contest 2025, Premio “Chicco Bettinardi” 2024, Premio Perugia “Alberto Alberti”, concorso “Eddie Lang Jazz Festival”), abbiamo avuto la possibilità di portare la nostra musica al pubblico qui in Italia, abbiamo registrato e pubblicato il nostro primo disco. Siamo molto felici di questo cammino che ci vede tutti molto coinvolti emotivamente ogni giorno, dentro e fuori la musica. Il nostro spirito che ci guida è quello di continuare a cavalcare questa grande passione per la musica con energia.
Il termine Distopia semanticamente significa l’opposto di Utopia, ha un significato particolare per voi?
Questa parola è arrivata alle nostre orecchie quando Lorenzo Fiorentini, il pianista, ci ha presentato il suo brano, dal cui titolo prende il nome l’intero album. Per noi, la dimensione narrativa è un riferimento costante nel modo di scrivere musica. Non si tratta necessariamente di raccontare una storia precisa, ma di creare spazi sonori che suggeriscano immagini, atmosfere, movimenti interiori. In Distopia, questo si traduce in una costruzione che cerca un equilibrio tra tensione e bellezza, tra elementi contrastanti che convivono senza annullarsi a vicenda. La scelta di mescolare linguaggi diversi – funk, jazz, neo-soul – risponde proprio a questa volontà di evocare un mondo sfaccettato, quasi cinematografico, in cui ogni sezione musicale ha un ruolo “drammaturgico”. Anche le forme, i vuoti e i pieni, sono pensati per sostenere un percorso, un flusso narrativo che può essere interpretato liberamente da chi ascolta.
Distopia è senza dubbio un disco moderno che sfugge da schemi e catalogazioni. Ci sono dei linguaggi a cui fate riferimento?
Avendo iniziato il nostro percorso affidandoci ai brani scritti da ognuno di noi è emerso, giustamente, un tipo di scrittura che fa riferimento a linguaggi spesso diversi tra di loro. Data la grande differenza del percorso e background musicale di ciascuno di noi, abbiamo accettato la possibilità di avere a che fare con del materiale stilisticamente non omogeneo. Ci siamo trovati a conciliare, ad esempio, corali di stampo classico con linee funk arrangiate per tre fiati. Oppure siamo partiti da brani tipo jazz tradizionale, poi armonicamente stravolti ai quali abbiamo aggiunto sezioni con sonorità più moderne. In altri casi, ci siamo affidati ad un approccio compositivo tipico della musica seriale, producendo improvvisazioni più free e libere da ritmi armonici prestabiliti.
Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per voi cosa rappresenta?
Questo disco per noi rappresenta la tappa di un percorso che è iniziato con spontaneità, e che sta proseguendo esattamente nello stesso modo. È il primo frutto di due anni di sperimentazione, di fallimenti e di confronti più o meno accesi. Quello che vuole rappresentare è una presentazione di ciò che siamo stati, dando un significato al motivo per cui abbiamo deciso di vivere insieme una parte della nostra esperienza come musicisti ed esseri umani. Nonostante il materiale musicale ad un primo ascolto possa sembrare a tratti forse complesso, credo che in seconda battuta possa rivelare sincerità e spirito di condivisione, valori per noi molto importanti che rappresentano (inconsapevolmente) il nostro legame fin dal primo giorno.
Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?
Dopo diversi esperimenti e tentativi, ci siamo orientati prevalentemente nella direzione di un’estetica musicale che prende ispirazione da artisti come Immanuel Wilkins, Walter Smith III e Joel Ross. Allo stesso tempo, senza volerlo o no, abbiamo sentito che non potevamo non prescindere dalla tradizione dei gruppi jazz come i Jazz Messengers, o gli ensembles capitanati da John Coltrane, Miles e Benny Golson. Alle influenze provenienti dal jazz, nel gruppo si manifestano anche tendenze e gusti musicali di matrice classica. Infatti, la maggior parte di noi sta seguendo o ha seguito un percorso di formazione classico e/o contemporaneo.
In ultimo volete darci qualche coordinata sui prossimi concerti e soprattutto se ci saranno nuovi progetti in cantiere?
Il 7 settembre prossimo ci esibiremo per la rassegna “Il Jazz Italiano per le Terre del Sisma” a L’Aquila e il 30 dicembre ad Orvieto durante “Umbria Jazz Winter”. Entrambi i concerti fanno parte del premio ottenuto grazie alla vittoria del Conad Jazz Contest 2025. Attualmente stiamo producendo dei brani che ottimisticamente potranno far parte della nostra seconda uscita discografica. Probabilmente si tratterà di musica in cui daremo sfogo alla vena più “elettronica” del gruppo.
