Un disco che parla di rinascita e che affronta la complessità dell’uomo contemporaneo attraverso la rilettura in musica di un mito affascinante come quello di Prometeo, il titano che secondo la mitologia greca ha donato il fuoco agli uomini. È questo il punto di partenza del nuovo lavoro del contrabbassista Jacopo Ferrazza intitolato Prometheus uscito il 24 gennaio per l’etichetta Teal Dreamers Factory. In questa nuova avventura affiancano il leader Enrico Zanisi, al piano e i sintetizzatori, Livia De Romanis al violoncello e Valerio Vantaggio alla batteria, con la voce di Alessandra Diodati a fare da legante. Il risultato è un disco ricco di contaminazioni dove il jazz, la musica classica e il rock si fondono. A parlarcene è proprio Jacopo Ferrazza.
Jacopo, partiamo innanzitutto dal titolo. Prometeo rappresenta per te l’uomo contemporaneo e le sue insicurezze. Perché hai scelto di rappresentare in musica questa figura e qual era il messaggio che volevi mandare?
Ho scelto Prometeo perché rappresenta una figura profondamente ambivalente, sospesa tra ribellione e sacrificio. È un simbolo dell’uomo che riconsidera i propri limiti, anche a costo della sofferenza. In questo lavoro la figura Prometeica viene incarnata dall’essere umano stesso che si riscopre titano e ricco di tutte quelle qualità sopite da troppo tempo che, come il fuoco, vengono nuovamente accese.
Cosa ti affascina di questa figura mitologica e soprattutto qual è il filo conduttore di questo disco? Hai scelto di raccontare una storia ben precisa?
La figura di Prometeo è abbastanza complessa perché racchiude in sé molti significati e contraddizioni. È un titano, un semi-dio ma allo stesso tempo è amico degli uomini. È potente ma si sacrifica, porta avanti un suo ideale e si batte per quello. La storia è la riscoperta da parte dell’uomo Prometeico del fuoco al suo interno e degli episodi che lo portano dal vivere una vita apatica all’oscuro di tutto con solo i riflessi della realtà nella sua caverna a una vita in piena consapevolezza, in comunione con il tutto. È un percorso di rinascita.
Il disco è caratterizzato da cambi di atmosfera e spazia tra influenze rock, progressive e anche classica. La scelta di contaminare nasce da una precisa esigenza oppure è venuta in modo istintivo?
Direi entrambe le cose. Da un lato c’è sicuramente un’urgenza espressiva che mi porta a non volermi limitare a un solo linguaggio. Dall’altro, queste contaminazioni fanno parte del mio background: ho ascoltato e studiato jazz, musica classica, rock progressivo e altri generi, quindi, è anche un processo molto naturale. L’istinto e la riflessione convivono in maniera equilibrata, lasciando spazio all’improvvisazione ma anche a un disegno compositivo preciso.
Prometheus rappresenta l’evoluzione del precedente disco Fantàsia. Cosa è cambiato rispetto al precedente lavoro? C’è stata un’evoluzione a livello compositivo?
Sì, direi che Prometheus è un’evoluzione naturale ma anche più consapevole. In Fantàsia c’era una forte componente onirica, mentre qui ho cercato un suono più drammatico, più materico. A livello compositivo ho lavorato molto sull’interazione tra strutture scritte e parti aperte, e ho voluto esplorare maggiormente i contrasti dati dal rapporto tra strumenti acustici ed elettronici e tra una scrittura densa in alcuni registri in contrapposizione con la voce. Inoltre, a differenza di Fantàsia questo è un concept album che di conseguenza, a livello compositivo, ripropone degli elementi comuni tra tutti i brani.
In questo disco hai scelto gli stessi musicisti del precedente. Cosa ti ha spinto a mantenere la stessa formazione del precedente lavoro?
La scelta di mantenere la stessa formazione è stata dettata dalla profonda intesa umana e musicale che si è creata con questi meravigliosi musicisti e persone. Alessandra Diodati, Enrico Zanisi, Livia De Romanis e Valerio Vantaggio sono artisti con cui condivido una visione musicale comune, e questo ha permesso di sviluppare il progetto con una coesione e una fluidità che ritenevo fondamentali per il risultato finale. Lavorare con persone che ti capiscono anche solo con uno sguardo permette di spingersi più in là, di esplorare zone nuove senza perdere coerenza. Con loro ho potuto permettermi di rischiare, sapendo che avrebbero portato ciascuno la propria visione, ma sempre al servizio della musica.
Quali sono i brani più significativi di questo disco? Vuoi descriverci quelli a cui ti senti più legato e i primi che ti hanno portato alla creazione del disco?
Ogni brano ha una sua importanza ed ha un ruolo fondamentale nella tessitura della trama e nel gioco della consequenzialità degli episodi. Tra i primi elementi tematici ci sono stati “The Cave” e “The Rediscovery of Fire” composti leggermente prima degli altri. Se dovessi scegliere dei brani preferiti probabilmente andrei su “Titan Rises” per la scrittura e “Prometheus” per il significato portante ma anche “I Am Everywhere” che è la conclusione del percorso e racchiude molti degli elementi compositivi e tematici del disco.
Oggi più che mai si parla di musica contaminata e senza confini. La fusione degli stili e la cancellazione del concetto di genere per te rappresentano il futuro anche per il jazz?
Assolutamente sì. Il jazz nasce già come linguaggio contaminato, aperto. Quello che succede oggi è semplicemente una sua evoluzione coerente. I confini tra generi si stanno dissolvendo, ma credo che la cosa importante sia la sincerità del messaggio. Non basta mescolare gli stili per fare qualcosa di nuovo: bisogna avere una visione, un’urgenza comunicativa. E in questo senso, il jazz ha ancora molto da dire.
Il disco è uscito da poco, ma prima di lasciarci ci piacerebbe sapere se stai preparando qualcosa di nuovo e se hai delle date in cantiere…
Sì, sto già lavorando a nuove idee. Mi interessa sempre di più il dialogo tra elettronica e strumenti acustici, e sto continuando a esplorare questa direzione. Inoltre, a novembre uscirà un nuovo album in duo con la cantante Simona Severini. Dal vivo porteremo Prometheus in tour nei prossimi mesi, con date sia in Italia che all’estero. Le prossime sono il 23 giugno a Roma e il 5 luglio ad Ambria Jazz.
