Un disco che si muove su linee di basso ipnotiche, compresse, riverberi e delay, un tappeto sonoro sul quale si adagiano le suadenti melodie di una voce eterea ed emozionante. Si presenta così under Cover of night, ultimo album del progetto Cry Baby pubblicato dall’etichetta Filibusta Records. Ne parliamo a tu per tu con Sabina Meyer e Alberto Popolla, leader ideatori di questo progetto così trasversale che sfugge da ogni tipo di classificazione.
Per cominciare l’intervista parliamo subito del disco: vi va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?
Alberto – Il disco è essenzialmente un disco di canzoni; particolari, dal sapore notturno, attraversate da linee di basso a sostegno delle melodie cantate dalla voce. Però è, allo stesso tempo, un disco che è intriso di improvvisazione, un’improvvisazione al servizio della canzone, e quindi inserita a pieno titolo all’interno e intorno al brano. Ed è l’elemento che trasforma, contamina e vivacizza tutto il disco. Quindi, da un certo punto di vista, è un album di canzoni e di improvvisazione, ma il tutto con una omogeneità di fondo, senza giustapposizioni o forzature.
Under cover of night: il titolo di questo nuovo disco ha un significato particolare per voi?
Sabina – Sono sempre stata attratta dalle diverse declinazioni della parola “notte”. Espressioni come “sul far della notte, notta fonda, notte tempo, piena notte, bella di notte, buio, oscurità, tenebra” conducono inevitabilmente al suo opposto, a parole come “luce, fulgore, splendore”. La notte è uno spazio liminale che crea spaesamento, anche paura a volte ma è il luogo dell’interiorità, dell’introspezione, del silenzio fertile. Quindi la tenebra favorisce la creatività anche se l’accezione comune “con il favore delle tenebre” ha un sapore tutt’altro che positivo. Mi piaceva rovesciare questa locuzione così bistrattata.
Raccontateci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?
Sabina – Inizialmente il duo era un trio con un clarinettista inglese, facevamo quasi esclusivamente musica d’improvvisazione. Ma proprio quel “quasi” ha dato vita a Cry Baby. In un concerto ho proposto di inserire una canzone popolare scozzese, arrangiata e rielaborata molto liberamente ma con la struttura netta della forma canzone. È stato il momento del concerto che ha catturato maggiormente l’attenzione nostra e del pubblico. Forse eravamo anche un po’ stanchi del linguaggio dell’improvvisazione pura e avevamo bisogno di parlare una lingua più comunicativa che appunto è possibile fare tramite la canzone.
Alberto – Era da un po’ che mi girava in testa l’idea di provare a riarrangiare particolari brani che ho sempre amato in una forma scarna, essenziale, ma allo stesso tempo vivida, pungente, immediatamente comunicativa. Con Sabina ci conoscevamo da tempo e, quando lei ha proposto di suonare una canzone popolare scozzese nel nostro trio di improvvisazione libera, ho capito che da lì dovevamo partire, anzi ripartire. Era giunto finalmente il momento giusto per iniziare un nuovo percorso che lavorasse su canzoni ed inglobasse al loro interno i nostri retroterra musicali. In questo viaggio, importante e proficuo è stato l’inserimento di Ferdinando Faraò alla batteria, con la sua sensibilità e la capacità di inserirsi in punta di piedi nel repertorio, ma con rara efficacia.
Cosa è cambiato rispetto ai dischi precedenti e quali sono state le evoluzioni legate alla vostra musica?
Sabina -Per me è il secondo disco di canzoni mie, l’altro risale a 20 (!) anni fa, pubblicato con un’etichetta canadese. Penso che arrivi ciclicamente il bisogno di entrare in contatto con un’emotività non mediata che è quanto accade con la scrittura di testi e canzoni che parlano di esperienze vissute anche se trasfigurate sul piano poetico. In questi anni ho cantato molta musica contemporanea che tiene intenzionalmente a freno il piano emozionale e poi musica barocca che invece “allena” all’indagine approfondita dei colori dell’emozione.
Alberto – Per me la grande novità in questo progetto è il ritorno al basso elettrico. In realtà, come musicista, io ho iniziato al basso con il gruppo rock Magic Potion, ormai più di trent’anni fa. Ma poi, una volta preso il clarinetto, l’avevo abbandonato. La pandemia mi ha riportato su quelle corde, e la felicità di risentire nella pancia quelle vibrazioni è stata tale da cercare a tutti i costi di suonare quasi esclusivamente il basso in un progetto. Ed è quello che ho fatto con Cry Baby.
Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa vi viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?
Sabina – I primi che mi vengono in mente Billie Holiday, Patti Smith, Cathy Berberian, Morton Feldman, Otis Redding, J.S. Bach, The Necks. Sono musiche che potrei ascoltare ininterrottamente.
Alberto – Robert Wyatt, Jimmy Giuffre, Pink Floyd, Eric Dolphy, The Necks.
Come vedete il vostro progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla vostra musica?
Sabina – Tantissimi concerti! E abbiamo in mente già il prossimo disco di cui però non sveliamo la natura.
Alberto – Effettivamente ora siamo impegnati nel promuovere il disco. Ma abbiamo già tantissime idee per il prossimo lavoro. Abbiamo individuato e costruito una nostra estetica musicale forte, riconoscibile, e sulla quale sentiamo di avere ancora tantissimi margini di sviluppo, tante possibilità di poter cambiare e/o modificare sempre però rimanendo noi stessi. L’elemento ipnotico potrebbe avere un ruolo ancora più importante e, ovviamente, lo sviluppo ulteriore del doppio basso elettrico.
Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: avete qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?
Per ora abbiamo il concerto di presentazione del disco a Roma il 14 novembre alle 19, all’Acrobax, in Via della Vasca Navale 6, organizzato dal centro sociale e dall’associazione culturale Controchiave. In questa occasione avremo alla batteria Alessandra D’Alessandro, che si è calata perfettamente nella nostra dimensione. E poi, più in là, una serie di date in giro per l’Italia. Ma è ancora presto per parlarne.
