Giovedì 3 Aprile la band P.A.O. – nata dall’incontro tra il cantautore e chitarrista Antonio Pignatiello e il batterista Gianfilippo Invincibile – presenterà in anteprima al Wishlist l’album di debutto intitolato “A Cuore Aperto” in uscita il 21 marzo per l’etichetta O’Disc. Un live emozionante e travolgente, dal forte impatto emotivo che alternerà momenti di intensa vitalità ad atmosfere più dilatate e rarefatte. Antonio Pignatiello ci racconta come si svolgerà questo concerto d’esordio e al contempo ci parla anche del disco. Infine

Antonio Pignatiello, come stai? Pronto per il concerto al Wishlist il 3 aprile?
“Sto bene, emozionato e impaziente. Non vedo l’ora di iniziare. D’altra parte, ogni concerto è un incontro, un tuffo nell’ignoto, un’occasione per vivere la musica senza filtri. Non so se si è mai davvero pronti, ma porto con me ogni nota, ogni parola, ogni attimo vissuto in questi brani. E sono pronto a condividerli.”

Che concerto sarà?

“Sincero, senza maschere. Sarà un concerto a cuore aperto, proprio come il disco. Suoneremo con tutta l’intensità possibile, cercando di creare qualcosa che vada oltre le canzoni, oltre il palco, e arrivi dritto alle persone. Un momento di verità, di musica vissuta insieme.”

Ci racconti come nasce l’album “A Cuore Aperto”?

“Nasce da una necessità: quella di raccontare il tempo che viviamo, le sue fratture, le sue contraddizioni, ma anche la sua bellezza sommersa. È un disco che non offre risposte, ma varchi, spiragli attraverso cui guardare il mondo con occhi nuovi. Un viaggio sospeso tra desiderio e disincanto, tra speranza e disillusione. Forse la bellezza ci salverà, come direbbe Dostoevskij. O forse no. Ma intanto suoniamo, scriviamo, lasciamo tracce.”

È da molto tempo che collabori con Filippo Gatti?

“Filippo l’ho incontrato due anni fa. Prima ci siamo parlati, poi sono andato a trovarlo in Maremma, vicino a Scansano. Abbiamo camminato, discusso, ascoltato il silenzio, cercando di capire se le nostre visioni potessero incontrarsi. La sua profondità musicale e umana mi ha colpito. Ha saputo tirare fuori il suono giusto per queste canzoni, rispettandone la verità. È stato un processo naturale, fatto di intuizioni, di ascolto reciproco, di spazi lasciati all’altro. Fare musica insieme significa fidarsi, e con Filippo è successo esattamente questo.”

Come nasce il sodalizio artistico che ha dato vita al progetto P.A.O.?

“Nasce da un incontro, come tutte le cose che contano. Gianfilippo Invincibile è un batterista con cui collaboro dal 2014, ma prima ancora è un amico. La musica ci ha messi sulla stessa strada, ma è stata la condivisione a trasformare quella strada in un progetto. P.A.O. è il frutto di un’alchimia naturale, un punto d’incontro tra visioni diverse che diventano una sola. Poi è arrivato Filippo Gatti, che ha saputo dare una forma più nitida a questa direzione, rendendola ancora più autentica.”

I testi e le musiche sono tutti scritti da te. Nove canzoni intrise di metafore e richiami letterari (Montale, Saba, Bauman) che si interrogano sulle problematiche dei nostri tempi. Paure e fragilità, ma anche perdita di punti di riferimento. Tu sei un insegnante di Lettere e Storia al liceo, quanto è importante affrontare queste tematiche con i ragazzi?

“È fondamentale, perché la letteratura non è un archivio del passato, ma una lente per capire il presente. Leggere Montale, Saba, Bauman significa mettere in discussione il mondo e se stessi, scavare tra le paure e le contraddizioni, cercare un senso nell’inquietudine. Con i ragazzi si aprono dialoghi intensi, spesso sorprendenti. Loro hanno domande che il mondo adulto ha smesso di porsi. E ascoltarli è forse il modo migliore per continuare a interrogarsi.”

Stare a contatto con i giovani è sicuramente stimolante e ci permette di avere altre chiavi di lettura per interpretare la società che ci circonda. Cosa ti affascina di più di questa nuova generazione?

“La loro capacità di mettere in crisi i modelli precedenti. Ogni generazione è un ponte tra ciò che è stato e ciò che sarà, ma questa in particolare ha una consapevolezza nuova, forse più liquida – per dirla con Bauman – ma anche più istintiva. Mi affascina la loro libertà di destrutturare, di non credere alle definizioni fisse, la loro necessità di reinventare linguaggi e identità.”

Tra i tuoi ascolti e influenze, quanto c’è di jazz e di blues?

“Molto, anche se scorre sottopelle, come un battito sommesso. Il jazz e il blues non sono solo generi musicali, ma modi di abitare il suono, di abbandonarsi a esso. Nascono dall’istinto, dall’improvvisazione, dall’errore che si fa stile. John Lee Hooker e John Coltrane hanno segnato il mio modo di sentire la musica: il primo con il suo blues ipnotico, essenziale, che sembra scavarti dentro; il secondo con la sua ricerca spirituale, il bisogno di spingersi oltre. Poi c’è il mio amore per Chet Baker, per quella fragilità che diventa bellezza, per la sua voce sottile che sembra sempre sul punto di spezzarsi e invece vola. In passato ho avuto il privilegio di lavorare con maestri come Pasquale Innarella e Giuliano Valori, e il loro modo di concepire la musica mi ha lasciato un segno profondo. Più che un’imitazione di stile, è un modo di sentire, di respirare dentro la musica.”

L’uscita del disco è stata anticipata da due singoli: “Statica Danza” e “Futuro Matematico”. Di cosa parla quest’ultimo brano?

“Futuro Matematico” è un gioco di luci e ombre, un’illusione di controllo sul tempo che invece ci sfugge tra le dita. Viviamo nell’era dell’algoritmo, dei numeri che prevedono, calcolano, definiscono. Ma l’anima sfugge alla matematica, si muove secondo traiettorie imprevedibili. È una canzone che si chiede se il futuro possa davvero essere ridotto a una formula, o se invece ci sia ancora spazio per il caso, per il sogno, per l’errore umano.”

Qual è il concept dell’album?

“L’idea di un viaggio dentro e fuori di sé. A Cuore Aperto è un disco che si muove tra l’introspezione e il mondo esterno, tra la ricerca di senso e il caos della realtà. Parla di smarrimento, di desiderio, di quel punto di equilibrio fragile tra speranza e consapevolezza. È un disco che non cerca di spiegare, ma di sentire.”

Che cosa rappresenta per te questo lavoro?

“Un attraversamento. Un punto di passaggio: lo scorrere del tempo. Ogni album è una fotografia di un tempo preciso, di un modo di sentire. A Cuore Aperto è il suono di un momento di transizione, di una ricerca che non si conclude.”

Se dovessi descrivere “A Cuore Aperto” con tre aggettivi, quali sceglieresti?

“Vivo, sincero, necessario.”

Sul palco con te ci sarà Gianfilippo Invincibile alla batteria e, in questa speciale occasione, sarete accompagnati da Simone Fioccavento al basso e alle chitarre e da Ilaria Gallicchio ai cori. Ci vuoi raccontare qualcosa di più su questi musicisti?

“La band P.A.O. siamo io e Gianfilippo, un sodalizio nato anni fa e cresciuto nel tempo, tra palco e strada. È una condivisione profonda, musicale e umana. Poi ci sono Simone e Ilaria, che in questa occasione daranno nuove sfumature al nostro suono. Simone ha un tocco profondo, capace di costruire atmosfere e tensioni. Ilaria ha una voce che si intreccia perfettamente con le mie melodie, dando respiro ai brani. Ma prima di tutto, sono persone. Persone con cui condividere non solo un suono, ma un’intenzione.”

Sogni nel cassetto?

“Continuare a scrivere, a suonare, a viaggiare con la musica. Portare queste canzoni in giro, incontrare persone, storie, suoni nuovi. Più che sogni, direi strade ancora da percorrere, forse perché alla fine il sogno è sempre lo stesso: restare autentici, senza smettere di cercare.”