Si chiama Don’t Be Afraid ed è l’ultimo disco pubblicato dagli Unicam Jazz Quartet, formazione nata a Camerino 6 anni fa e formata da Fabio Marziali al sax alto, Alberto Napolioni al pianoforte, Stefano Battaglia al contrabbasso e Giacomo Zucconi alla batteria. Special guest d’eccezione Jonathan Kreisberg conosciuto nell’ambito del Fara Music Festival, una manifestazione importante per una formazione fresca e giovanissima. E questa è la loro storia…
Gli Unicam sono nati grazie alla sinergia dell’Università di Camerino e l’Associazione Musicamdo: raccontateci come è andata!
“Ci siamo conosciuti a Camerino, come studenti universitari, 6 anni fa. Studiavamo cose diverse ma avevamo in comune la passione per il jazz. In contemporanea l’Associazione Musicamdo stava crescendo e promuoveva eventi e concerti in collaborazione con l’Università di Camerino. Ci trovavamo per provare e suonare insieme più spesso che potevamo ed eravamo ansiosi di creare un progetto duraturo e solido. Ognuno di noi aveva un background diverso e questo ha contribuito a creare uno stile personale. L’incontro con Musicamdo è stato naturale, visto che eravamo l’unico gruppo jazz che suonava a Camerino regolarmente. Abbiamo debuttato durante il festival da loro organizzato e questo ha reso possibile l’incontro con Paolo Piangerelli, direttore della casa discografica Philology, che ha prodotto il nostro primo lavoro, “New Hope”.”
Il vostro album è frutto del vostro successo al Contest del Fara Music Fest 2011. Come è cambiata la vostra musica da allora?
“La vittoria al Fara Music Festival, l’ultima di una serie di successi, ci ha dato l’impulso determinante per la realizzazione del nostro secondo disco. Enrico Moccia, direttore del festival, ha creduto subito nel nostro potenziale e ha messo a disposizione la sua organizzazione per la realizzazione e la promozione del nostro gruppo.”
Qual è stata la vostra esperienza con il Tube Studio e l’etichetta discografica?
“Abbiamo registrato il disco in pochissimi giorni grazie alla pronta operatività dello studio e dei tecnici. La posizione geografica dello studio, nella campagna laziale, ha contribuito a garantire freschezza mentale e fisica, necessarie per sfruttare al meglio le proprie potenzialità. Per quanto riguarda la qualità audio e di ripresa credo che il disco parli da sé.”
Il vostro album è costituito da 10 brani originali. Raccontateci le scelte creative e l’ispirazione che vi ha portato a comporli.
“Abbiamo sempre creduto di dover investire energie e tempo nel creare musica originale, perché è il modo più naturale per avere un sound personale e riconoscibile. La nostra prassi è quasi artigianale. Chi di noi compone un brano lo sottopone al gruppo. Lo suoniamo molte volte insieme fino ad elaborarlo in maniera tale da valorizzare i nostri punti di forza, che sono melodie ricche e cantabili e spazi improvvisativi liberi.”
Don’t Be Afraid: perché questo titolo?
“Don’t be afraid, non aver paura, ha molteplici significati per me (Fabio). Dal punto vista personale è una canzone che ho scritto per mia madre. L’ho scritta durante la separazione e il divorzio da mio padre. Quando questo è successo stavo lavorando alle Maldive e non ero vicino a lei per sostenerla. E’ stato il mio modo di starle vicino e di incitarla ad andare avanti, a non aver paura del futuro. Da un punto di vista più generale ha il significato che non bisogna aver paura e bisogna perseguire il proprio sogno, le proprie idee e la propria ispirazione. Ciò vale in musica ma anche in qualsiasi altro campo si sceglie di lavorare o dedicarsi.”
La sintonia con Jonathan Kreisberg: quali maturazioni e suggestioni vi sono arrivate da questo grande chitarrista? Come è nata la vostra collaborazione?
“Jonathan Kreisberg è ormai un punto di riferimento per il Fara Festival e per i seminari estivi, dove viene a suonare ed ad insegnare ormai da diversi anni. E’ stato Enrico Moccia a proporci una collaborazione con lui e naturalmente il nostro entusiasmo è stato grande. Fin da subito Jonathan si è immerso nella nostra musica. Ricordo un aneddoto in particolare: noi quattro eravamo a casa di Stefano Battaglia, dove ci eravamo rinchiusi per suonare il più possibile in vista della registrazione imminente. Finite le prove cominciamo a cucinare e riceviamo in contemporanea una chiamata Skype da Jonathan, che intanto era in Grecia per una serie di concerti. Era in hotel e invece di rilassarsi e pensare ai fatti suoi, aveva preso i nostri spartiti e li aveva studiati a fondo e suonati come se fossero i suoi. Mentre noi aspettavamo la cottura della pasta lui suonava i nostri pezzi e ci suggeriva modifiche, cambiamenti e nuovi arrangiamenti. Quella singolare chiamata Skype ci ha fatto capire a fondo quanta dedizione c’è dietro a un maestro di tale levatura. Quanto lavoro e passione bisogna mettere nella musica per raggiungere la perfezione. Music comes first.”
Un confronto con il vostro primo album “New Hope”?
“Il nostro primo lavoro è stato un esperimento. Non avevamo mai registrato niente insieme ed è stato fondamentale per dare una direzione al nostro sound. Tanti piccoli dettagli, tante piccole cose che in realtà sono fondamentali, diventano chiare e visibili sono quando si registra in modo professionale. Molto spesso ci si preoccupa di come si viene percepiti come singoli musicisti (il nostro suono, il nostro stile, ecc) ma ciò è secondario quando si suona insieme. E’ il suono del gruppo che diventa decisivo.”
Come definireste vita artistica e musicale in una regione ricca di risorse come le Marche?
“Le Marche, essendo costituita per larga parte da piccoli comuni, offre una moltitudine di piccoli e medi eventi. Questo aiuta il giovane artista a maturare e a potersi mettere alla prova su un terreno di suo livello. Chiaramente per fare il salto di qualità occorre conoscere realtà più grandi e mettersi alla prova con musicisti di livello più elevato del proprio. Recentemente sono nate delle realtà in cui i comuni e le associazione di uniscono per realizzare progetti più ambiziosi e ciò è promettente in tempi di ristrettezza economica.”
F.G