Si intitola Timelapse il nuovo EP della pianista e compositrice Daniela Mastrandrea che raccoglie nove composizioni originali nate per omaggiare la flautista Antonella Benatti, che in questo progetto è interprete d’eccezione insieme all’autrice. Tre trilogie che raccontano un percorso interiore che è anche universale: la memoria che scorre come un fiume, l’ombra che si trasforma in luce, l’intimità che genera speranza. Sono pagine di un diario scritto con il linguaggio più antico e universale: la musica. In questo lavoro le due musiciste intrecciano sensibilità e visioni, dando forma a un tempo sospeso che diventa contemplazione, riflessione e rinascita. Ne parliamo a tu per tu con Daniela Mastrandrea.
Timelapse è un titolo che richiama una tecnica cinematografica. Che significato ha per te e cosa rappresenta?
Ogni brano rappresenta un fotogramma nitido e definito della mia amicizia – umana, musicale e professionale – con Antonella, dal nostro primo incontro fino al nostro sodalizio come duo. Attraverso le note ho cercato di raccontare l’evolversi di questo sentimento. Ho visto la nostra amicizia come un vero e proprio Timelapse, e ascoltando i brani uno dopo l’altro, la sensazione di scorrere del tempo e di crescita condivisa emerge proprio come in un film accelerato.
Nel disco c’è il richiamo a immagini legate alla natura, paesaggi, anche ampi spazi. Quanto hanno inciso queste tematiche nelle composizioni?
In questo disco coesistono due modalità: ci sono momenti in cui le note richiamano immagini, e altri in cui sono le immagini o gli stati d’animo a suggerire le note. In River, ad esempio, la musica è sgorgata spontanea, evocando il fluire dell’acqua senza alcuna immagine iniziale a cui ispirarsi. Le note semplicemente seguivano il moto dell’acqua. Hidden Side, invece, nasce da un dolore profondo. Non ricordo neanche cosa fosse accaduto, ma sentivo il bisogno di posare le mani sul pianoforte e iniziare a scrivere questa melodia. La sera in cui è nata, suonandola ripetutamente, ogni nota mi liberava qualcosa dentro. È difficile spiegare da dove nascono le composizioni, spesso si muovono dentro come echi lontani. Non c’è un’immagine iniziale a cui ispirarsi, solo un ascolto intimo, profondo e sincero di se stessi, che non sempre può essere tradotto a parole.
Fermo restando che le etichette non ci sono mai piaciute, come descriveresti questo disco in breve e soprattutto in che solco musicale lo collocheresti?
La musica è nel mezzo e ha poco a che fare con le etichette. Timelapse lo dimostra continuamente, perché abbraccia più stili e generi differenti, anche all’interno dello stesso brano. Chanson, ad esempio, ha un’introduzione classica, ma subito dopo attinge al linguaggio jazz, utilizzando anche espedienti del repertorio barocco e classico. Nella parte iniziale, infatti, la mano sinistra del pianoforte suona una linea melodica che fa pensare a un contrabbasso pizzicato e, nelle sezioni centrale e finale, sono presenti imitazioni, canoni e linee melodiche che richiamano lo stile contrappuntistico. Glance, invece, insieme a River e Landscapes, si rifà all’impressionismo, ma a tratti tocca la musica new age e il jazz, evocando sonorità giapponesi.
Sin da piccola ho amato tutta la musica. Ricordo che la mia passione più grande era sbobinare le audio cassette — che fortuna essere nata negli anni Ottanta — non per riprodurle al pianoforte, ma per trascriverle sul pentagramma. Ancora oggi la mia passione più grande non è tanto suonare, quanto scrivere e trascrivere.
È difficile collocare la mia musica all’interno di un solco o di un filone preciso: farei prima a dire in quale non si trova, piuttosto che il contrario. Di sicuro, però, la matrice è classica, perché sono fortemente attratta dal linguaggio della letteratura classica, in particolare da quella sinfonica. Le ultime tre composizioni (Solace, Soulscapes e Hope) ne sono un esempio.
Ascolta il disco Timelapse di Daniela Mastrandrea
Visto il titolo del disco e anche il tipo di composizione, hai mai pensato che potesse essere una colonna sonora di un film o se ti piace come idea anche di un frammento della tua vita?
La musica che scrivo nasce da un ascolto profondo, sincero e autentico di ciò che ho dentro. In questa dimensione non c’è spazio per il pensiero, ma solo per il sentire. Quando un brano prende forma, per me la cosa più importante è che sia autentico, a prescindere dallo stile o dal genere. Deve essere intriso di verità, la verità del cuore. Tutto il resto, se arriva, è solo una conseguenza.
Ascoltando la mia musica dopo averla scritta, ho spesso pensato che potesse diventare la colonna sonora di un film. Di certo, però, è la colonna sonora della mia vita, perché a prendere voce sono i miei sentimenti e i miei stati d’animo, in relazione alle situazioni che vivo.
Possiamo vedere questo disco anche come percorso interiore?
Assolutamente sì. Non solo questo disco, ma tutta la mia musica rappresenta un percorso interiore. In essa riverso me stessa e le mie emozioni più disparate. Grazie alla scrittura ho la possibilità di perdermi e ritrovarmi, di evolvere interiormente e di scoprire parti di me che non conoscevo. È come se lubrificasse la mia anima dalle tensioni della vita, restituendole leggerezza e verità.
Ci sono dei brani fondamentali? Magari quelli che sono stati degli apripista per la nascita di questo progetto? Ce ne vuoi descrivere qualcuno in particolare?
Sono così diversi, ognuno con la propria autenticità, che non saprei designarne uno più importante degli altri. Di sicuro, però, River è il brano che ha dato il via a tutto. E da River, uno dopo l’altro, sono nati — esattamente nell’ordine in cui sono presentati nell’album — tutti gli altri.
L’idea iniziale, infatti, non era quella di creare un album, ma semplicemente di scrivere un brano. Da lì, tutto il percorso si è snodato da sé, perché dopo ogni composizione, un’eco di essa mi accompagnava: un’eco che mi spingeva a scrivere altro, e poi ancora altro, fino a quando il cammino non si è concluso naturalmente.
Certe cose non si possono spiegare: le senti dentro. Posso sicuramente dire che ogni brano è figlio e genitore allo stesso tempo, del precedente e del successivo.
Raccontaci anche la storia di questo sodalizio. Come vi siete conosciute e soprattutto come avete dato vita a questo progetto?
Nel gennaio 2025 sono approdata al Liceo Musicale Bartolomeo Zucchi di Monza, dove ho incontrato Antonella Benatti. Chiacchierando è venuto fuori che scrivevo: le ho fatto ascoltare qualcosa e si è subito entusiasmata, al punto da coinvolgermi in eventi dedicati a musica, recitazione e poesia. Il nostro duo è nato senza neanche deciderlo: semplicemente, ci siamo ritrovate ad esserlo. Inoltre, la nascita di River ha dato vita ai brani oggi contenuti in Timelapse, ponendo le basi per la registrazione di un album. Da lì, tutto è venuto in modo naturale.
Seguiranno delle cose con questo duo e in caso vuoi darci qualche coordinata sui prossimi concerti?
Sì, sono in programma alcune date: la prima è prevista per fine novembre, con altre a seguire. Al momento, però, è tutto ancora in fase di definizione.
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