Pubblicato nel dicembre 2024 dall’etichetta GleAM Records, Live at Parma Jazz Frontiere, il nuovo album della formazione BSDE 4tet. Un disco registrato in uno dei templi per la musica live che evidenzia l’importanza della condivisione artistica anche con il pubblico. Ne parliamo con Daniele Nasi che racconta a Jazz Agenda come è nata e come si è evoluta nel tempo questa avventura.

Per cominciare l’intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

“Il disco “Live at Parma Jazz Frontiere” è la registrazione del nostro concerto al festival di Parma, tenutosi ad Ottobre 2023. Nel disco sono contenuti alcuni brani presenti nel nostro primo disco, “Elevating Jazz Music Vol.1”, edito per GleAM Records nel 2022, ma anche un paio di composizioni nuove. Quel live è stato un momento speciale, perché oltre ad essere il Parma Jazz Frontiere un bellissimo contesto dove suonare, eravamo anche accompagnati dal live painting di Alberto Reggianini, che ha reso il tutto molto suggestivo. La copertina del disco è un’opera di Reggianini stesso e rende bene l’idea di quelle che erano le immagini che accompagnavano e dialogavano con la nostra performance musicale. Riascoltando le registrazioni con Angelo Mastronardi di GleAM, abbiamo pensato che potesse essere una buona idea pubblicare questo concerto come disco live, e da lì abbiamo iniziato il lavoro di pubblicazione.”

Live at Parma Frontiere è il l’ultimo disco del BSDE Quartet. Perché la decisione di immortalare proprio un concerto live?

“Crediamo che la musica sia comunicazione, e che sia importante che questa si manifesti tanto tra i musicisti quanto con il pubblico. Quando il pubblico è partecipe, allora c’è dialogo e si crea un momento magico di condivisione e di crescita; viene dato peso alla musica e tutti ne giovano.   Quando il pubblico si presta alla musica, sentiamo molta più energia nel suonare, le possibilità dinamiche diventano molto più interessanti e tutto ciò torna indietro come ampliamento dello spettro di colori nel dipinto musicale finale. Per questo ci piaceva l’idea di avere anche un disco live tra le pubblicazioni.”

Raccontaci adesso la storia di questo progetto: come è nato e come si evoluto nel tempo?

“Il quartetto è nato a Groningen, nei Paesi Bassi. È stato un incontro in parte fortuito e in parte premeditato, ma quando ci siamo trovati nella stessa sala a provare alcuni dei brani che ora potete sentire nei nostri dischi, la formazione del quartetto è stata abbastanza inevitabile. Era esattamente il suono di cui quei brani avevano bisogno per prendere forma!  Da lì ci sono stati alcuni cambiamenti di organico (alla batteria c’era inizialmente Aca Skoric, poi Andrea Bruzzon ed ora Mattia Galeotti), ma il suono e la direzione è sempre rimasta abbastanza chiara a tutti. Siamo riusciti, con tour sempre più consistenti, nel nostro intento di suonare in vari locali e festival in Italia ed in Europa, ed a portare in giro la nostra musica, con i temi contenuti e le conseguenti riflessioni. Ad ogni incontro cerchiamo di riarrangiare la musica del tour precedente e di aggiungerne di nuova, quindi il repertorio è sempre in evoluzione.”

Una curiosità: il nome della band, BSDE, cosa rappresenta? Ha un significato importante per voi?

“Le iniziali starebbero per “Bolognese Sauce Doesn’t Exist”, una frase d’effetto pronunciata durante la conversazione tenutasi a Groningen, nei Paesi Bassi (dove è nato il quartetto), alla ricerca del nome del progetto stesso. Questo acronimo vuol esser giocoso e al contempo provocatorio, strappando un sorriso nell’esprimere una critica velata alla globalizzazione ed il suo tentativo di appiattire tutto, mettendo a repentaglio la bellezza che si può riscontrare nelle piccole differenze presenti in ogni creazione e l’autenticità delle stesse. Vuol essere un invito a riscoprire e valorizzare le peculiarità di ogni cultura, senza però fossilizzarsi in tradizionalismi, ma cercando di creare nuove possibilità con attenzione ai dettagli, invece di omogeneizzare ciò che già esiste, con inevitabile perdita di qualità, solo per il profitto. Che si parli di opera culinaria, d’arte o d’artigianato, il concetto non cambia.”  

Visto che parliamo di un disco dal vivo. Per voi qual è l’aspetto più importante? Quello live o quello da studio? Oppure sono due aspetti che secondo voi si completano?

“Crediamo siano due momenti molto diversi con caratteristiche altrettanto divergenti e da valorizzare. La registrazione in studio sicuramente permette una pulizia ed una meticolosità che il contesto live non sempre consente. In studio è possibile lavorare per creare un prodotto finito molto più raffinato a livello di produzione e di qualità del suono. É chiaro che, come per i cibi processati, non sempre il prodotto più raffinato è il migliore. Il contesto live, con il suo apporto più “grezzo”, restituisce altri elementi che in studio non possono passare, come il dialogo con il pubblico, l’energia del momento e la tensione di sapere che è “buona la prima”. Questo a livello di registrazioni e pubblicazioni ovviamente.

Se parliamo invece del quotidiano per noi musicisti oggi, sicuramente i live hanno ormai un ruolo predominante. Soprattutto dall’avvento delle piattaforme di streaming digitale, non c’è più un guadagno sufficiente in ambito editoriale (ovviamente parlo di realtà medio-piccole come noi), quindi il live assume un significato più importante sotto quell’aspetto. Oltre a ciò, nel contesto live c’è tutta la comunicazione e la condivisione con il pubblico, che ogni volta cambia e restituisce qualcosa di diverso, che crediamo sia un momento fondamentale del fare musica; aspetto che in studio di registrazione invece manca.”

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti noti o anche meno noti che per te sono stati davvero importanti?

“Hanno sicuramente avuto un ruolo fondamentale John Coltrane, Sonny Rollins e Rashaan Roland Kirk, insieme ai tanti musicisti che, soprattutto negli anni ’60, hanno sfruttato il linguaggio musicale jazzistico per supportare la lotta degli afro-americani contro il razzismo negli Stati Uniti. Oltre a questi, ci sono anche tante influenze che vengono da contesti musicali diversi dal jazz, come le musiche folk dell’est Europa, del medio-oriente o il metal. Un’altra grande influenza è stata la musica di Colin Stetson. Insomma, ogni brano prende da mondi diversi, quindi i riferimenti musicali sono veramente molteplici.” 

Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?

“Sicuramente continueremo ad esplorare musicalmente, e speriamo anche geograficamente con tanti tour a venire! Non è da escludere un secondo lavoro in studio nel prossimo anno, ma intanto stiamo lavorando sull’organizzazione di concerti che faremo nei prossimi mesi. Per scoprire dove saremo e quando, rimandiamo ai nostri social e al nostro sito, dove pubblicheremo tutte le informazioni a riguardo.”

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