Pubblicato da Emme Record Label, From Another Planet è il disco d’esordio di Federico Calcagno and the Dolphians, lavoro dedicato al leggendario musicista afroamericano Eric Dolphy. Un progetto moderno con una sezione fiati variabile a seconda del brano che unisce la poetica del jazz degli anni ’60 con un linguaggio fresco e moderno. Si alternano infatti brani originali con alcune rivisitazioni di brani scritti proprio da Eric Dolphy. Federico Calcagno ci ha raccontato questa prima esperienza discografica…
Federico, per cominciare l’intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?
Il disco si intitola “From Another Planet”, pubblicato nel febbraio 2019 da Emme Label Records. La band (Federico Calcagno and the Dolphians) è costituita da una formazione in sestetto a prevalenza di fiati che, a seconda dei brani, subisce variazioni partendo dal quintetto fino ad arrivare al settimino (quest’ultimo l’organico più grande): completano la band una solida sezione ritmica con vibrafono. Sia il nome dell’album che quello della band celebrano la figura del sassofonista-clarinettista-flautista afroamericano Eric Dolphy, con l’intento di valorizzare, sviluppare, ed estendere le idee musicali contenute nel celebre album “Out to Lunch” (Blue Note, 1964). In sostanza, il disco propone composizioni mie originali dal grande impatto sonoro collegate a rielaborazioni moderne di alcuni brani di Dolphy, come “Hat and Beard”, “Gazzelloni” e “Straight Up and Down”. Nel sound del gruppo riecheggiano atmosfere tipiche delle registrazioni BlueNote degli anni ’60, arricchite con sfumature ritmiche moderne. Il risultato è una musica fresca, piena di interazioni e grande entusiasmo collettivo.
Raccontaci adesso la vostra storia: come è nato questo progetto e come si è evoluto nel tempo?
Il progetto è nato grazie al mio interesse verso la musica di Eric Dolphy e allo studio del clarinetto basso applicato al linguaggio jazzistico, in concomitanza con la fine dei miei studi in clarinetto jazz al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano nell’anno 2017. I musicisti coinvolti appartengono alla scena del jazz lombardo, in particolare quella che ruota intorno a Milano: Gianluca Zanello e Luca Ceribelli ai sassofoni, Andrea Mellace al vibrafono, Stefano Zambon al contrabbasso e Stefano Grasso alla batteria. Il gruppo era nato come laboratorio di studio e ricreazione di alcuni brani di Eric Dolphy e George Russel. Successivamente il nostro repertorio si è sviluppato includendo brani originali e arrangiamenti originali di composizioni contenute in “Out To Lunch”.
Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?
Essendo “From Another Planet” il mio disco d’esordio, esso rappresenta sicuramente un punto di partenza per la mia carriera nel mondo del jazz. Sono contento che questo lavoro sia stato riconosciuto come uno dei 100 dischi migliori del 2019 da JAZZIT; anche se non sono amante né sostenitore della competizione e classificazione dell’arte, questo riconoscimento alimenta senz’altro le mie energie creative e la positività che spesso manca in questo mestiere. Essendo solo l’inizio del mio percorso professionale, mi auguro che “From Another Planer” sia la spinta che porterà alla nascita di altri lavori discografici e collaborazioni importanti.
Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?
Parlando dei miei riferimenti strumentali legati al clarinetto, adoro il suono di Tony Scott e la chiarezza della pronuncia di De Franco. Oggi ci sono grandi virtuosi come Anat Cohen, Don Byron, Eddie Daniels, Ivo Papasov che ammiro molto dal punto di vista strumentale. Per quanto riguarda clarinettisti bassi ho diversi nomi da elencare: in primis i miei insegnanti Joris Roelofs e Achille Succi, poi Eric Dolphy, Michel Portal, Louis Sclavis, Rudi Mahall e Jason Stein. E parlando di riferimenti musicali in generale, mi è importante menzionare Charlie Parker, John Coltrane, Ornette Coleman, Charles Mingus, Vijay Iyer, Steve Lehman, Tyshawn Sorey, John Cage, Stravinsky, Steve Reich e tanti altri ancora.
Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica?
Negli ultimi due anni, da quando mi sono trasferito ad Amsterdam per perfezionare i miei studi, è stato più difficile organizzare prove e concerti, ma questo tempo ha portato i suoi frutti a livello compositivo: ho potuto scrivere nuovi brani da includere in un aggiornato repertorio. Infatti l’idea evolutiva di questo progetto è sempre stata quella di scrivere nuovi brani, abbandonando quelli di Dolphy, ma sempre facendo riferimento alla sua figura come punto di partenza e riferimento. In futuro non mi dispiacerebbe e spero vivamente di poter registrare un secondo album che include solo composizioni originali. Le parole chiave di questo gruppo sono e saranno interazione, collettività, riflessione, ascolto.
Chiudiamo con un ulteriore sguardo al futuro: hai qualche concerto in cantiere o qualche nuova registrazione da portare avanti?
Con questo progetto avevo tre concerti a maggio che ovviamente sono stati cancellati per l’emergenza sanitaria in corso. Purtroppo non sono stati gli unici cancellati: tutti i miei concerti in Olanda con tanti progetti diversi sono stati annullati fino al primo settembre. C’è però una buona notizia: il primo di giugno è stato pubblicato il mio secondo album “Liquid Identities” per l’etichetta AUT Records. Si tratta di musica scritta da me nel corso del mio perfezionamento di studi avvenuto ad Amsterdam e la formazione vede un quintetto internazionale con altri musicisti provenienti da Spagna, Portogallo e Grecia. Spero che abbiate il piacere di ascoltarlo e di rimanere aggiornati sulle mie attività musicali.