Si intitola Anemoia il secondo album del chitarrista Andrea Zacchia recentemente pubblicato dall’etichetta Filibusta Records.  L’anemoia è un sentimento di nostalgia per un tempo, un luogo, una persona, un’esperienza o una situazione che non si è mai conosciuta o vissuta. Il termine deriva dal greco antico ánemos (“vento”) e nóos (“mente”). Un lavoro che esplora le possibilità espressive del jazz modale e del post-bop attraverso la dinamica e suggestiva formazione dell’Hammond Trio. L’album si muove tra strutture aperte e momenti di forte interplay, alternando progressioni armoniche sospese a sezioni più ritmicamente dense, dove il groove e la melodia si intrecciano in un equilibrio raffinato. Ecco il racconto di Andrea Zacchi a Jazz Agenda

Per cominciare l’intervista parliamo subito del disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?

“Anemoia” è un disco che nasce da un bisogno personale di rallentare e guardare indietro, ma anche altrove. È un viaggio tra memoria e immaginazione, in cui il jazz modale e il post-bop si intrecciano con una dimensione più lirica e melodica. Il titolo descrive bene il cuore del progetto: anemoia è la nostalgia per un tempo che non si è mai vissuto. Ho cercato di tradurre questo sentimento in musica, attraverso atmosfere sospese, spazi aperti e un interplay molto libero. 

Raccontaci adesso la storia di questo progetto: come è nato e come si è evoluto nel tempo?

“Anemoia” è nato in un momento di pausa, di rallentamento. Dopo un lungo periodo fatto di concerti, collaborazioni e della pubblicazione del mio primo disco HBPM, ho sentito l’urgenza di fermarmi e guardarmi un po’ dentro. Volevo scrivere un lavoro che avesse “il tempo dentro”: non solo quello musicale, ma quello della memoria, dei luoghi dell’infanzia, delle prime esperienze con la musica. Il progetto si è evoluto in modo molto naturale: ho scritto i brani pensando già al trio, con Pietro Caroleo all’Hammond e Maurizio De Angelis alla batteria, due musicisti con cui c’è un’intesa profonda. Abbiamo registrato tutto dal vivo in pochi giorni, lasciando che le cose accadessero, per preservare quella fragilità e quella verità che cercavamo.

La band esplora le possibilità espressive del jazz modale. Perché la scelta di una formazione in hammond trio?

La formula dell’Hammond trio mi accompagna ormai da anni e la trovo perfetta per questo tipo di ricerca: è una formazione dinamica, essenziale ma molto espressiva, che lascia spazio all’interplay e all’improvvisazione.

E inoltre cosa ti affascina di questa formazione?

Dell’Hammond trio mi affascina prima di tutto l’equilibrio tra essenzialità e ricchezza timbrica. È una formazione che, pur essendo ridotta all’osso — chitarra, organo e batteria — riesce a creare un suono pieno, dinamico, sempre in movimento. L’organo Hammond, in particolare, è uno strumento vivo, che respira: può essere armonico e avvolgente ma anche percussivo, tagliente, ritmico. Pietro Caroleo ha una sensibilità straordinaria nel dosare questi aspetti, ed è una vera colonna portante del suono del trio.
Con Maurizio De Angelis alla batteria si è creata una sintonia profonda: il suo approccio è mobile, mai statico, e lascia molto spazio all’interplay. Quello che cerco in questa formazione è proprio la possibilità di far emergere la musica nel suo farsi, senza sovrastrutture: ogni brano può aprirsi, cambiare direzione, respirare.

Quali sono i linguaggi del jazz che prediligi e che possiamo ritrovare all’interno di questo progetto?

“In questo progetto i due linguaggi che sento più miei sono sicuramente il jazz modale e il post-bop. Il primo per l’apertura, la possibilità di creare spazi larghi in cui la melodia possa respirare e prendere direzioni inattese. Il secondo per l’intensità ritmica e l’energia che porta dentro, anche quando non è esplicita. Mi interessa molto lavorare su strutture che non siano troppo rigide, che permettano all’improvvisazione di essere davvero parte della forma e non solo un momento a sé. All’interno di Anemoia si trovano queste caratteristiche: brani con armonie sospese, cellule melodiche che si sviluppano nel tempo, interplay costante.

Un disco per una band o per un artista può sintetizzare diverse cose: una fotografia del momento, un punto di arrivo o di partenza: per te cosa rappresenta?

Per me un disco è soprattutto una fotografia del momento, uno scatto che cristallizza un percorso, uno stato d’animo, una visione artistica che ho in quel preciso istante. Anemoia rappresenta proprio questo: una pausa, una riflessione su chi sono come musicista e sulle mie radici, ma anche una finestra aperta verso il futuro. È un punto di arrivo perché racchiude anni di esperienze, di ascolti, di sperimentazioni e di crescita personale. Ma è anche un punto di partenza, perché ogni disco apre nuove domande, nuovi orizzonti da esplorare. In questo senso, Anemoia è un passaggio, un momento in cui mi sento saldo nelle mie scelte ma aperto al cambiamento, pronto a nuove sfide e a nuove narrazioni musicali.

Se parliamo dei vostri riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per voi sono stati davvero importanti?

Quando penso ai riferimenti musicali per Anemoia, i nomi che mi vengono subito in mente sono quelli di Pat Martino e John Coltrane. Martino per il suo approccio armonico profondo e spirituale alla chitarra, e Coltrane per la sua intensità, la ricerca continua e quel senso di trascendenza che riesce a trasmettere in ogni nota. Ma oltre a queste figure iconiche, ci sono anche influenze più sottili e personali: la scena del jazz modale e post-bop degli anni ’60 e ’70, certo, ma anche certi sprazzi di energia rock. Cerco di prendere spunto da questi mondi senza fossilizzarmi, lavorando per costruire un linguaggio personale che sappia dialogare con la tradizione ma anche aprirsi a nuove sonorità e idee.


In ultimo vuoi darci qualche coordinata sui prossimi concerti e soprattutto se ci saranno nuovi progetti in cantiere?

Certamente! Anemoia rappresenta per me un punto di partenza importante: da qui sto iniziando a esplorare nuove direzioni sonore e armoniche che sto già sviluppando nel mio prossimo disco. Sarà un progetto che si distinguerà per sonorità diverse, pur mantenendo il jazz modale come fondamento solido della mia ricerca musicale. Probabilmente anche la formazione cambierà rispetto all’Hammond trio con cui ho lavorato finora. Vedremo quale forma prenderanno queste idee che, per ora, sono solo note su un pentagramma! Nel frattempo, stiamo organizzando alcune date per portare Anemoia dal vivo, e non vedo l’ora di condividere con il pubblico quell’atmosfera intima e spontanea che abbiamo creato in studio. Invito tutti a seguirmi sui canali social per restare aggiornati su concerti e novità in arrivo.

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