Divertissement l’ultimo disco del violinista Francesco Del Prete si presenta come un mix di colori che hanno come minimo comun denominatore una profonda curiosità non solo verso la musica e ma anche verso il mondo circostante. Un lavoro intrigante dove protagonista è un violino che insieme al sapiente uso dell’elettronica riesce a creare suoni e scenari all’apparenza impossibili con uno strumento soltanto. Francesco Del Prete racconta a Jazz Agenda questa nuova avventura.
Per cominciare l’intervista parliamo subito di questo tuo ultimo disco: ti va di descriverlo brevemente ai lettori di Jazz Agenda?
“Divertissement” è un disco di 11 composizioni originali i cui ambiti di interesse ed argomenti affrontati sono molteplici: arte, letteratura, fumetti, danza, movimento e velocità, sentimenti, passato e nostalgia, attualità. A differenza dei miei precedenti lavori discografici – che possono essere definiti a ragione dei concept-album – ho immaginato questo come una collezione piuttosto variegata di brani, magari diversi fra di loro, ma con un denominatore comune: i pezzi sono stati concepiti per mio diletto, prima imbastiti velocemente con violino e pedaliere in modo tale da sperimentare nuove tecniche musicali e poi arrangiati e rifiniti con l’intento di tracciare un percorso trasversale coerente e sincero allo scopo di indagare ed approfondire la mia poetica personale.
Il titolo Divertissement è molto curioso e originale. Ha un significato particolare per questo tuo progetto?
Il titolo Divertissement ha per me un duplice riferimento: in musica classica indica generalmente un brano strumentale dal carattere scorrevole e leggero in voga nella seconda metà del sec. XVIII; al contempo, volutamente, allude anche al concetto di “divertimento”, dal latino di-vèrtere che vuol dire volgersi altrove, deviare in direzione opposta. Ed è esattamente quel che ho fatto io dopo l’uscita di “Rohesia ViolinOrchestra”, dedicato al connubio tra vino e violino: ho diretto altrove il mio sguardo, la mia attenzione per allargare il mio spettro sonoro attraverso la ricerca di nuove soluzioni timbriche, nuove melodie, nuovi e più mirati arrangiamenti ed espedienti ritmico-percussivi, concretizzati ed eseguiti sempre e solo al violino.
Raccontaci adesso la tua storia e il tuo percorso artistico. Come ti sei avvicinato a questo modo di suonare il violino e come si è evoluto nel tempo fino ad arrivare alla genesi di questo disco?
Mi ha sempre intrigato andare oltre le note scritte su un pentagramma, improvvisare liberamente dando sfogo a determinate suggestioni e stimoli di ricerca sonora; ecco perché ad un certo punto è stato naturale avvicinarsi alla musica jazz e alla world music che dell’improvvisazione fanno la propria bandiera. Il resto arriva per esigenze pratiche: durante i primi anni di studio jazz avevo bisogno costante di qualcuno che mi accompagnasse con uno strumento adeguato a sviluppare l’armonia sì da approfondirne le regole; ho cominciato perciò ad immaginare e a costruire delle sequenze tramite violino solo con l’utilizzo di loop machine; i risultati mi hanno talmente galvanizzato, confortato anche dall’entusiasta risposta del pubblico, che oggi presento il mio quarto lavoro discografico seguendo la procedura che porto avanti già da diversi anni, ViolinÒrchestra, un’intera orchestra con un solo violino a cinque corde, e vi garantisco che l’entusiasmo è ancora lo stesso e c’è ancora tanto dacreare.
Se parliamo dei tuoi riferimenti musicali cosa ti viene in mente? Ci sono degli artisti, noti o anche meno noti, che per te sono stati davvero importanti?
I generi musicali trattati ed espressi nel disco, in una chiave molto personale, sono veramente tanti: swing, rock, prog, balcan, classico, pop, chiara espressione dei miei ascolti onnivori e del mio interesse verso la musica a 360°. Ecco perché, dovessi fare una lista dei miei favourite artists si tratterebbe sempre di un elenco per difetto, ma allo stesso tempo molto variegato: dal classico sicuramente i violinisti David Oistrack, Gidon Kremer e Hillary Hahn come esecutori e Debussy e Sibelius come compositori; dal jazz il Pat Metheny Group, il contrabbassista Avishay Cohen, i pianisti IIro Rantala ed Enrico Pieranunzi, i trombettisti Lee Morgan e Freddy Hubbard; da altri generi, Astor Piazzolla, i Taraf de Haidouks, Sting & The Police, Eminem, Lucio Dalla, Caparezza, Niccolò Fabi; tra i violinisti: Jean-Luc Ponty, Didier Lockwood, Zbigniew Seifert, Christian Howes, Billy Contreras, Zach Brock, Mateusz Smoczyński, il Turtle Island String Quartet, Roby Lakatos e veramente tanti tanti tanti altri.
Come vedi il tuo progetto nel futuro? In sintesi quali potrebbero essere le evoluzioni legate alla tua musica e su cosa stai sperimentando?
Da sempre mi avvalgo della presenza di altri strumentisti, sia nei miei dischi – quest’ultimo vede la partecipazione di ben otto musicisti ospiti, tromba, pianoforte, sassofono, violoncello, voce, arpa, synth ed elettronica – sia durante le performance live; ma ora sto provando ad immaginare una formazione più allargata per sviluppare altre idee d’insieme che mi ruotano in testa: vedremo cosa ne viene fuori.
Per concludere ci vuoi dare qualche coordinata sulle prossime date?
Fortunatamente si prospetta un’estate intensa dal punto di vista dei concerti; proprio in questi giorni stiamo chiudendo una serie di live che terrò nei prossimi mesi, e questo mi entusiasma parecchio perché il mio primo pensiero, durante la scrittura di un brano, è la performance che ne seguirà dato che la musica rimane la massima espressione del mio pensiero più intimo e nascosto.