
Mario Donatone, io Bluesman latino: il docufilm è al cinema Farnese
Mario Donatone, io Bluesman latino è il titolo del docufilm realizzato da Gigliola Funaro che lunedì 21 ottobre verrà presentato in anteprima al cinema Farnese a partire dalle 21. Protagonista è il musicista romano che attraverso le immagini racconta quarant’anni di blues jazz e gospel grazie anche al contributo di personaggi dello spettacolo come Neri Marcorè, Minnie Minoprio, Danilo Rea e Federico Zampaglione. Un racconto, dunque, che parla di musica, arte in una città che in questi anni è cambiata molto, nel bene e nel male. Ne parliamo a tu per tu con Gigliola Funaro e Mario Donatone.
Abreve verrà presentato in anteprima al cinema Farnese il documentario, intitolato “Mario Donatone, Io Bluesman latino”, di cosa si tratta?
Gigliola: “Il documentario racconta quarant’anni di blues, gospel e jazz a Roma, dagli anni 80 ad oggi raccontati dal musicista, pianista e cantante Mario Donatone.”
Come è nata questa idea di raccontare la storia del blues attraverso la figura di Mario Donatone?
Gigliola: “Mario ed io ci siamo conosciuti nel 1984, quando cantai da attrice in un locale di Trastevere, accompagnata al piano da Donatone, che già allora era un ragazzo di talento, che mi disse che voleva dedicarsi alla misica blues e così è stato, anche se noi ci siamo persi di vista per molti anni. Ci siamo ritrovati tre anni fa e, con grande piacere, ho ritrovato un musicista di grande bravura e spessore ed ho pensato che si meritava di dedicargli questo docufilm.”
Da 40 anni a questa parte cosa è cambiato nel mondo del Blues a Roma e soprattutto in Italia?
Mario: “Negli anni ’80 e ì90 la musica di nicchia come il blues aveva forte collegamento con la musica che piaceva alla massa e viveva forse il suo slancio più forte. I locali pullulavano di pubblico giovane e fornivano rassegne e festival. Gli assessori alla cultura facevano a gara a mettere il cappello sulle varie manifestazioni musicali. Oggi tutto l’apparato di musicisti e organizzazioni che è sopravvissuto gioca in difesa , ma lo fa con la stessa passione di un tempo. Oltretutto prima poteva anche essere una moda, oggi solo una forte convinzione artistica può muovere chi suona , perché pubblico e appoggi statali si sono sempre più ridimensionati.”
Come è nata la tua passione per il blues e poi come si è evoluta nel tempo?
Mario: “Faccio parte della generazione del rock, e nel rock di Rolling Stones, Cream, Hendrix , ecc,,ho trovato il blues, che era la sostanza profonda di tutto. Poi a 18 anni ho visto dal vivo Ray Charles ed è stato uno shock positivo inimmaginabile.”
In questo documentario vengono raccontati 40 anni di storia del blues a Roma. Ci sono degli aneddoti particolari, delle storie o momenti che volete raccontarci?
Mario: “Io ero un po’ intimidito dal fatto di avere tutta questa attenzione sulla mia persona e non riuscivo sempre a sciogliermi quando parlavo di me. Allora ho iniziato a portare Gigliola in giro nei posti dove suonavo, lei all’inizio era perplessa, ma poi ha capito che in questi luoghi , più che nelle parole, c’era l’essenza umana di quello che faccio e che ho fatto per tanti anni.”
Una domanda fondamentale per chiudere: cosa vi ha fatto innamorare del blues e soprattutto cosa continua ad affascinarvi dopo 40 anni di musica?
Mario: “Senza dubbio la sua capacità semplice e profonda di mettere in comunicazione (e sullo stesso piano) l’artista e il pubblico, dando la possibilità di raccontare e di condividere i sentimenti con l’autenticità del momento.”
Gigliola: “Durante la mia vita di attrice e regista mi sono occupata di più di musica d’autore italiana e per il Teatro e non ho seguito molto il blues. Quando ho realizzato questo documentario invece mi sono immersa, durante le riprese e il montaggio, in questa bellissima atmosfera notturna del blues e l’ho cominciato ad amare anch’io.”